«La soluzione? La commissione d’inchiesta»

Il senatore della Margherita: «C’è un accordo bipartisan. Finiamola col voyeurismo giudiziario»

Marianna Bartoccelli

da Roma

L’idea gli era venuta almeno 15 giorni fa, prima che si definissero le commissioni al Senato, sull’onda delle ennesime intercettazioni telefoniche pubblicate sui media, quelle relative al calcio. Adesso attorno alla proposta di Antonio Polito, neosenatore della Margherita ed ex direttore del Riformista, di varare una commissione d’inchiesta si sono schierati in 53, firme di peso da Angius a Follini, da Mancino a Cossiga, e anche alla Camera Osvaldo Napoli di Fi ha presentato una proposta analoga.
Senatore Polito, il ministro Mastella ha detto però che una commissione d’inchiesta prevede tempi lunghi e che la soluzione migliore, soprattutto se c’è un’accordo bipartisan, è il disegno di legge che regola diversamente tutta la materia...
«Ho l’impressione che sia il contrario, si fa prima una commissione d’inchiesta soprattutto al Senato dove i numeri impongono di fatto una commissione bipartisan e intanto si può presentare un disegno di legge. Ma è prima necessario fare una ricognizione su questi problemi e quindi trovare una soluzione ragionata... ».
Il problema delle intercettazioni ha due livelli: l’uso ormai abnorme di questo strumento nelle indagini e la diffusione di registrazioni spesso neanche contenute in eventuali ordinanze di rinvio a giudizio...
«E a volte neanche utili alle indagini, ma che rimangono nel frullatore. Ormai assistiamo a una sorta di "voyeurismo giudiziario", come se si guardasse dal buco della serratura di continuo. Quando un’intercettazione non serve all’inchiesta va eliminata, invece no, rimane pronta all’uso di non si sa cosa. Ci sono stati e ci sono degli evidenti abusi: la telefonata di Fassino nell’inchiesta di Consorte andava distrutta, così come quella di Pisanu e Siniscalco nel calcio. E le telefonate di Daniela Di Sotto? (la moglie di Fini, ndr) Perché sono state rese pubbliche? Perché sono rimaste negli atti? La magistratura deve fare una cernita accurata prima di dare pubblicità con un ordinanza che, non dovrebbe, ma arriva dappertutto».
La distruzione di certe intercettazioni non avviene mai e spesso arriva sui giornali...
«Non solo, arriva all’opinione pubblica anche quello che non è nell’ordinanza di rinvio a giudizio. Non viene distrutto mai nulla e anche quando si viene prosciolti o assolti rimane lo sputtanamento sui giornali. E spesso leggendo, diciamolo con chiarezza, non si capisce nulla, come del resto è giusto che sia... ».
Pannella sostiene che «le intercettazioni possiedono una forza invasiva potenzialmente democratica» e che se un giornalista le ha deve pubblicarle...
«È possibile che sia democratico, ma non è consono allo stato di diritto. La Russia per intenderci è una democrazia, si vota, ma non è uno stato di diritto. Noi oggi sappiamo le attitudini sessuali di un paio di ragazze... non va bene. Sono d’accordo con Di Pietro quando dice che se nessuna di queste ragazze ha presentato denuncia noi non abbiamo fatto altro che guardare dal buco della serratura. C’è una differenza tra morale e penale».
Perché una commissione parlamentare di inchiesta?
«Sono d’accordo con il segretario nazionale di magistrati Nello Rossi che ribadisce che oggi la legge consente le intercettazioni per casi speciali e per inchieste particolari. Invece ormai se ne abusa, sono diventate una sorta di Grande fratello. In questo modo si rischia di screditare questo strumento che è stato ed è essenziale in inchieste sul terrorismo o sulla mafia. Una nuova legge sull’onda delle emozioni serve solo a creare un nuovo reato e nuove pene. Invece bisogna mettersi attorno ad un tavolo, parlare con i magistrati, gli avvocati e i giornalisti e capire cosa serve».
Sia la proposta del centrosinistra, firmata da Calvi che quella dell’ex ministro Castelli prevedono la punizione del carcere per i giornalisti che pubblicano le intercettazioni...
«Non ha senso. Anche perché spesso non ci sono firme particolari quando si pubblicano atti.

Bisognerebbe agire sul patrimonio dell’editore, fissare dei risarcimenti economici. Il giornale così può stabilire se il gioco vale la candela e pubblicare quello che si ha e pagare la multa. E poi fissare dei codici di autoregolamentazione che mettano fine a un fenomeno che non ha eguali nel mondo».

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