Sono l’uomo dei casini e corro con Casini: morirò democristiano

Vi racconto perché sono pronto a candidarmi con l’Udc Siamo tutti figli della Balena Bianca. E lo dico con orgoglio

Sono l’uomo dei casini e corro con Casini: morirò democristiano

Mi sembra perfettamente coerente che la straordinaria esperienza di Salemi, di cui la stampa internazionale ha dato ampio resoconto, qualche giorno fa Le Figaro, l’altroieri il Los Angeles Times, il mese scorso il New York Times e l’Herald Tribune, si proietti in Europa. È la prova che un’impresa riuscita, con un forte restauro di immagine per tutta la Sicilia, si diffonda come un modello di integrazione tra libera intelligenza, creatività e strutture di partito. In questo caso, casini e Casini hanno ottenuto un risultato importante trasferendo la nozione di «politica» a una forma di vitalità e di idee per la città (polis). Veramente un disegno comune come indica il bello slogan desunto dalle iniziali di Udc.
A Salemi questa lista democristiana, con la mia candidatura, ha fortificato il centro battendo al primo turno il Popolo della libertà e il Movimento per l’Autonomia e al secondo turno il Partito democratico. Un’efficace dimostrazione che candidature forti e credibili raccolgono il consenso popolare appoggiandosi alle organizzazioni di partito. D’altra parte l’esperienza solitaria di Casini è una prova di coraggio. Casini ha conservato la propria autonomia e ha difeso il centro, nella perfetta convinzione che la maggioranza degli italiani sia moderata.
Nessun dubbio che «moriremo democristiani», ma non bisogna più vergognarsi di affermarlo. Democristiana è la parte preponderante della classe dirigente del Popolo della libertà, democristiano è il leader del Partito democratico, due blocchi che aspirano al centro stando ai lati, innaturalmente, con una forzatura grazie a leggi elettorali che comprimono le differenze in nome del potere. E, a ben pensarci (diversamente dai blocchi contrapposti socialista e popolare, conservatore e laburista) utilizzano denominazioni generiche e indistinte e perfino coincidenti: tutti siamo «popolo» e tutti vogliamo la «libertà» e tutti siamo «democratici».
Con Pier Ferdinando Casini condivido da sempre l’avversione al bipolarismo forzato al posto di un bipartitismo mancato. Ritengo quindi necessario un modello elettorale in cui ognuno valorizzi la propria differenza in prospettiva di alleanze con affini o con partiti volti a un progetto politico comune. Casini, fin dal 1994, ha difeso e conservato la propria autonomia, il proprio posto al centro, un luogo reale e inevitabilmente molto frequentato, benché pervicacemente negato. Così è potuto avvenire che il suo principale sostenitore, Marco Follini, si sia fatto travolgere da una deriva bipolare, spostando il suo centro. E Tabacci, pur tormentato e alla disperata ricerca della «rosa bianca» ha dovuto riconoscere il coraggio e la coerenza di Casini. Per questo, avendo realizzato il suo progetto a Salemi, mi sono dichiarato, senza alcuno spunto polemico, su questo stesso giornale, un Tabacci riuscito, permettendomi la battuta che egli era uno Sgarbi mancato.
Ora è possibile ripetere, in dimensione europea, il risultato di Salemi, raccogliere consenso e confermarlo estendendo i confini del teorema in nome di valori condivisi, di garanzie individuali, del totale rispetto della propria tradizione politica. Ciò che altri nascondono, Casini delimita e dichiara e lo sa perfettamente che l’ispirazione laica di un partito cattolico può rispecchiarsi, nell’Unione di centro, in un musulmano diventato cristiano come in un liberale che abbia perfetta coscienza del monito insuperato e insuperabile anche, e soprattutto, in quei falsi centri che sono, nella sostanza, destra e sinistra: «Non possiamo non dirci cristiani». La formula di Benedetto Croce mi ha portato in innumerevoli occasioni a difendere la dignità della Chiesa, dei suoi rappresentanti, e l’assoluta legittimità della sua presenza nella vita civile. Quella della Chiesa non è ingerenza ma presenza e proposta politica. Nessun dubbio, nessuna ipocrisia, se il partito che ha governato per cinquant’anni l’Italia si è chiamato: «Democrazia cristiana». Il partito più democratico, liberale e aperto che si potesse concepire, se oggi i suoi esponenti sono distribuiti a destra e a sinistra per legittimarne la vocazione centrista.


La scelta di Casini è stata dunque rigorosa e coerente. La sento, oggi, particolarmente affine e mi compiaccio della conclusione di Roberto Rao: «Scegliamo personalità aperte. E Sgarbi, in effetti, è molto aperto».

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