Spariti i luoghi simbolo del Pci Ai follower di Renzi non servono

Ora i nipoti di Berlinguer vogliono cancellare le loro radici

Spariti i luoghi simbolo del Pci Ai follower di Renzi non servono

Alberghi, supermercati, banche, università, negozi. La vita moderna pulsa negli edifici che hanno fatto la storia del Partito comunista. Il Pci è morto e uno dei sintomi che nemmeno i suoi eredi godono di ottima salute è proprio la mancanza del culto dei luoghi.

La memoria storica è un orto che va coltivato con cura, innaffiato tutti i giorni e pure concimato, perché ogni tanto fa bene anche qualche palettata di letame. Invece no, i nipoti di Enrico Berlinguer nonché pronipoti di Antonio Gramsci (benché con gli innesti di alcuni discendenti di don Sturzo e De Gasperi) non onorano gli avi. Se ne vergognano. La sinistra italiana ha abbattuto i suoi santuari. Del passato comunista rimangono archivi polverosi custoditi da fondazioni sostenute da enti locali amici e memorie personali di vecchi militanti imprigionati nelle malinconie del tempo che fu. I simboli sono scomparsi, per prima la falce e martello disegnata da Renato Guttuso per scendere fino agli edifici che furono teatro di eventi epocali, come Botteghe Oscure, le Frattocchie, il teatro livornese della scissione dal Psi, ma anche le sedi delle federazioni provinciali, le sezioni, le case del popolo.

Tutto cancellato, tutto venduto per fronteggiare la montagna di debiti del partito non più finanziato da Mosca. La Chiesa comunista ha eliminato la possibilità di pellegrinaggi nei suoi luoghi di culto perché non c'è più un culto, una presenza da ricordare e da venerare. Il passato con il pugno chiuso è una zavorra ingombrante di cui liberarsi. Il 3 febbraio scorso ricorrevano i 25 anni dal congresso di Rimini che sciolse il maggiore partito comunista dell'Europa occidentale: un giubileo lasciato cadere nel nulla. E iniziative come l'Associazione per la ricostruzione del Pc, con lo strascico di una costituente comunista, confermano che la bandiera rossa è ormai buona soltanto per qualche manipolo di reduci irriducibili.

In ogni caso, non sono i progetti passatisti o le rievocazioni a ridare senso alla memoria. Anche se è una memoria ingombrante, soprattutto per il nuovo corso del Pd renziano che non ha più bisogno di tesserati ma di «followers», non di sezioni ma di leopolde. Il comunismo storico in Italia è un capitolo chiuso e la domanda è se i 70 anni tra Livorno 1921 e Rimini 1991 siano ancora degni di non scomparire del tutto. Il Pds-Ds-Pd ha imboccato la strada del colpo di spugna. A partire dai luoghi simbolo che hanno segnato le tappe di un percorso che, nel bene e nel male, ha comunque segnato la vita del nostro Paese e coinvolto ideali e scelte di milioni di italiani. Oggi chi volesse compiere un viaggio nei palazzi che hanno fatto la storia del Pci non troverebbe altro che banche, parrucchiere, alberghi o edifici in rovina.

BOTTEGHE OSCURE

Lo storico quartier generale del Partito comunista italiano ora ospita un supermercato (Pam, nemmeno coop) che occupa i locali dell'ex libreria Rinascita, uffici finanziari, perfino un parrucchiere. L'unico testimone del passato è l'androne disegnato da Giò Pomodoro con il busto di Gramsci, una bandiera della Comune di Parigi e la stella a cinque punte nel pavimento. Il palazzo a due passi da Piazza Venezia e dal Campidoglio - oltre che dalla vecchia sede della Democrazia cristiana - era stato donato a Palmiro Togliatti da due costruttori romani di provata fede comunista, i fratelli Alfio e Alvaro Marchini soprannominati «calce e martello». Alfio, nonno partigiano dell'omonimo candidato berlusconiano a sindaco di Roma. Alvaro, ex presidente della Roma calcio e padre dell'attrice Simona.

Il Bottegone è stato venduto a rate. Agli inizi degli anni '90 è stato ceduto l'attico dove s'incontravano di nascosto Togliatti e Nilde Iotti, quindi è toccato ai posti auto e infine - quando il partito smobilitò - al resto dello stabile, che fu acquisito dalla società immobiliare dell'Associazione bancaria italiana. Il simbolo del capitalismo. Eterogenesi dei fini, direbbe Marx.

LE FRATTOCCHIE

Altro generoso regalo al patrimonio immobiliare del Pci: una villa con parco e piscina al chilometro 22 dell'Appia Nuova, nella frazione Frattocchie del comune di Marino. Dal dopoguerra al 1993 fu la scuola di formazione dei quadri di partito. Era stata intitolata al compagno Zdanov, uno dei capi del Pcus ai tempi di Stalin, ma successivamente dedicata a Togliatti. Tutti i capi del partito vi hanno passato settimane di indottrinamento: molti ricordano ancora l'aula magna con la copia della Battaglia di Ponte Ammiraglio dipinta da Renato Guttuso, il grande dormitorio, i «prof» Berlinguer, Macaluso, Chiarante, De Felice.

Edifici e terreni che ospitavano la scuola delle Frattocchie sono stati comprati nel 2003 dal gruppo Tosinvest della famiglia Angelucci, proprietario di una delle maggiori catene di cliniche private in Italia oltre che editore del quotidiano Libero, assieme al Bottegone e altri 35 immobili messi in vendita dal partito per un corrispettivo totale di circa 81 milioni di euro.

VIA DEI GIUBBONARI

È la sede del Pci-Pds-Ds-Pd «Roma centro storico», non lontano da Campo de' Fiori. La sezione, inaugurata nel 1946, non è stata trasformata in uno sportello bancario perché il vecchio stabile in cui si trova (era la Casa del fascio) appartiene al comune. Qui era iscritto Napolitano, Bersani festeggiò la caduta del governo Berlusconi e Pietro Grasso presentò la candidatura al Senato. Ma ci è voluto il commissario straordinario Francesco Paolo Tronca per scoprire che il partito occupa senza concessione i locali e nemmeno pagava l'affitto. Pd abusivo e moroso. Lo scorso dicembre il Campidoglio ha deciso di riprendersi l'immobile, il Pd ha fatto ricorso al Tar che però ha confermato lo sgombero disposto dal comune. Nonostante la «pluriennale occupazione», l'ordinanza dei giudici amministrativi rileva che il partito «non risulta titolare di alcun atto di concessione». I militanti però annunciano «resistenza a oltranza». Quando si dice il rispetto delle sentenze.

IL TEATRO DELLA SCISSIONE

Teatro San Marco a Livorno: qui, il 21 gennaio 1921, la componente comunista del Psi decise la scissione. Gramsci, Bordiga, Tasca, Terracini, Togliatti si riunirono dopo avere abbandonato il congresso socialista al teatro Goldoni per giurare fedeltà al Comintern di Mosca. A parte la lapide affissa nel 1949 dai comunisti livornesi sulla facciata ricostruita dopo i bombardamenti bellici, nessuno si è mai preso troppa cura del San Marco, nemmeno quando (era il 1985) vi fu aperto un asilo. Oggi l'ex teatro è l'emblema della storia del Pci: sta crollando. Le colonne presentano crepe preoccupanti. I vigili del fuoco hanno transennato il marciapiede. La Regione Toscana ha stanziato 25mila euro per un restauro minimale: le due arcate più deteriorate.

LA CASA DI GRAMSCI

A Torino la chiamano familiarmente piazza Carlina: è dedicata a Carlo Emanuele II duca di Savoia, si trova alle spalle di via Po. In tre stanzette di un palazzo seicentesco che era stato Albergo di virtù per l'istruzione e l'assistenza dei poveri, Antonio Gramsci visse tra il 1913 e il 1922 quando si trasferì a Mosca. Qui il fondatore del Pci riuniva la redazione del giornale L'ordine nuovo e mise le basi ideologiche del nuovo partito. I «luoghi gramsciani» di Torino sono numerosi, ma questo di piazza Carlina è il più rappresentativo. L'edificio passò di mano alla comunità ebraica e poi al comune che vi fece alloggi popolari. Da due anni è un lussuoso albergo di una grande catena internazionale. Per sedare qualche protesta dei militanti, al mezzanino è stato ricavato uno spazio che ospita cimeli del compagno Gramsci, piccole mostre fotografiche e qualche iniziativa sulla storia della sinistra.

FEDERAZIONI E SEZIONI

Erano il cuore della vita di partito, punti di riferimento per milioni di militanti, gangli organizzativi ma anche luoghi di ritrovo. Sono svaniti assieme alla mitica ramificazione territoriale del partito: i circoli del Pd non sono nulla al confronto. Il fenomeno è particolarmente evidente nell'Emilia Romagna rossa. La sede della federazione di Bologna, che ospitava anche l'istituto Gramsci e la redazione dell'Unità, era nel prestigioso palazzo Marescotti: venduto all'università felsinea che vi ha trasferito parte del Dams. La federazione di Parma stava in via Silvio Pellico, un edificio di cemento battezzato «il bunker» perché i progettisti incaricati dal Pci vollero dargli l'immagine di una fortezza: lasciato dal partito divenne sede dell'Usl, poi chiuso, occupato da un centro sociale, ora abbandonato e in degrado. Venduta la federazione di Reggio Emilia.

La Casa del popolo di Alfonsine (Ravenna) in piazza Gramsci è stata demolita per costruire palazzine con negozi e uffici. Molte federazioni si sono trasferite in periferie anonime. E i sondaggisti dicono che il Pd perde elettori proprio nelle periferie. È l'ultima vendetta della storia.

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