«Ci sono molte cose che nella vita possono essere comprate, tra queste non c'è il tempo. Ho imparato ad andare piano, a trovare un attimo per leggere un libro e per giocare con i miei figli. Ho capito che bisogna desiderare e rendere quel desiderio realtà». L'altro giorno Nicole Kidman, elegante e raffinata nel suo abito Valentino, ha presentato alla Triennale di Milano Her Time , una mostra (aperta al pubblico fino al 25 settembre dalle 10 alle 23) dedicata agli orologi-gioiello che in cento anni hanno fatto la storia di Omega e dei segnatempo femminili, dal primo Lépine pendant fino al rivoluzionario Ladymatic, inclusi alcuni orologi Art Déco degli anni Venti.
Ieri, dopo aver festeggiato il suo decimo anniversario da brand ambassador Omega durante la serata di gala al Palazzo del Ghiaccio (indossava un abito nero di Thierry Mugler), l'attrice australiana ci ha parlato del suo concetto di tempo, professionale e familiare. Con una grazia, un'eleganza e una cordialità davanti alle quali si può solo fare un inchino.
Nicole c'è un oggetto cui tiene particolarmente?
«No, non in particolare, però amo personalizzare i miei accessori e mi piace mescolare i profumi. Però indosso l'orologio ogni giorno: per due motivi. Prima di tutto per essere puntale. Quando ero giovane mia madre mi ripeteva sempre che è educazione e buona maniera. Aveva ragione. Non mi piace quando le persone sono in ritardo e se non voglio che mi si manchi di rispetto, non devo farlo io per prima».
E il secondo motivo?
«Per lavorare senza esagerare trovando sempre del tempo per la mia famiglia. Cerco di coltivare ogni minuto passato con i miei figli e mio marito, una persona veramente adorabile. Pochi giorni fa Keith (Urban, il cantante, ndr ) mi ha accompagnata a Londra per il mio ritorno a teatro facendosi dieci ore di viaggio per poi tornare indietro. Solo per stare un po' insieme, per dare il buon esempio. Sono una persona molto fortunata».
Parlando di tempo, cosa farebbe in un minuto, in un'ora o in un giorno liberi?
«Se ho a disposizione solo un minuto medito; penso a far quadrare tutto. Se ho un'ora libera gioco con le mie figlie e questo è un tempo preziosissimo. Se ho una giornata tutta per me, inizio facendo una lunga e lenta colazione, il mio pasto preferito. Poi leggo un libro e i giornali, vado in spiaggia e nuoto. Insomma, sto semplicemente a casa».
Per questi motivi si definisce l'outsider di Hollywood?
«Credo proprio di sì. Sono stata abituata ad essere una ragazza normale e intellettuale: quando i miei amici andavano in spiaggia io rimanevo in casa a leggere Dostojevski. Quando mi misi in testa che dovevo fare l'attrice, ogni sabato mattina prendevo il bus alle 6 per andare in città a prendere lezione di recitazione. I miei genitori dicevano che, se volevo farlo, dovevo cavarmela da sola. Oggi li ringrazio e cerco di passare questi insegnamenti ai miei figli».
Diceva che legge molto. È anche social?
«Con misura. Non navigo mai prima di dormire e uso i social networks più che altro per comunicare con i miei figli più grandi, cosa che non succede con mio marito. Dirò di più: con lui non ci mandiamo né messaggi, né mail. È la regola del nostro amore. Preferiamo chiamarci, sentirci».
È arrivata a Milano dopo aver presentato il suo nuovo spettacolo a Londra.
«Ho scelto di tornare in teatro dopo 17 anni con la pièce Photograph 51 (scritta da Anna Ziegler e diretta da Michael Grandage) perché volevo che il nome di Rosalind Franklin venisse ricordato.
È un personaggio che ho amato molto, era una scienziata altruista e impegnata (la Franklin fu determinante nella scoperta del dna, ndr). Una persona che non cercava la gloria personale ma era nata per ottenere risultati».
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