25 anni senza Kurt Cobain

Sono passati 25 anni da quando il fondatore e leader del gruppo musicale dei Nirvana, Kurt Cobain, si è tolto la vita

25 anni senza Kurt Cobain

Seattle, 5 aprile 1994. Un fucile, un proiettile, uno sparo, un tonfo. Kurt è morto. Kurt si è sparato. Aveva 27 anni. Ne sono passati 25, invece, da quando il fondatore e leader del gruppo musicale dei Nirvana si è tolto la vita e ancora oggi Kurt Cobain viene ricordato da milioni di giovani che nemmeno hanno vissuto il momento in cui il grunge, la corrente musicale di cui era esponente nata proprio a Seattle, aveva rotto gli schemi della musica a cavallo tra la fine degli anni '80 e l’inizio degli anni '90.

Non fu il primo, Kurt, a morire. Andrew Wood, cantante dei Mother Love Bone, era morto a marzo del 1990 per overdose. Fu lui a inaugurare una lunga scia di sangue di artisti del grunge che perdura ancora oggi: dopo Kurt fu la volta di Layne Staley, fondatore degli Alice in Chains, deceduto nel 2002 e poi ancora Scott Weyland, voce degli Stone Temple Pilots venuto a mancare nel 2015; per ultimo, anche lui suicidatosi, Chris Cornell a maggio del 2017.

"Generazione X" era stata chiamata, un po' troppo frettolosamente da critici e sociologi, e se oggi hai un'età che si aggira sulla quarantina ne fai parte, magari inconsapevolmente, anche tu. Una generazione orfana prematuramente di uno dei suoi miti, forse il più famoso di essi insieme proprio a Chris Cornell e a Eddie Vedder, frontman dei Pearl Jam. Perché di lì a pochi anni dallo sparo di Seattle il grunge sarebbe morto. Era il 1996, usciva "Down on the upside", l'ultimo album dei Soundgarden, i Pearl Jam sarebbero diventati altro, così come gli Alice in Chains e gli Stone Temple Pilots che presero strade musicalmente diverse da quel sound graffiante e distorto degli anni '90, da quei testi carichi di rabbia, dolore, angoscia che venivano urlati dietro un microfono o sussurrati sulle note di struggenti ballate.

Chris, Scott, Layne, Kurt sono tutti morti. Intrappolati in una spirale di depressione senza uscita che per alcuni è durata anni ma che ha condotto tutti esattamente al medesimo destino sebbene con mezzi diversi. Una malattia generazionale che era scritta, cantata, urlata, suonata nel grunge.

Kurt non aveva mai nascosto la sua fragilità e forse per questo la sua morte ha colpito più di ogni altra. I nirvana nel 1994 erano all’apice del loro successo internazionale, ma per Kurt erano già morti, come lo era il grunge: secondo lui la sua musica era male interpretata e soprattutto strumentalizzata per il successo che stava avendo. Ci sono musicisti che quando arrivano in vetta si credono Dio. Kurt no. Era angosciato, schifato dall’ambiente che lo circondava e nemmeno la nascita di sua figlia, Frances, avuta da Courtney Love – leader delle Hole – gli aveva fatto ritrovare uno stabile equilibrio. Kurt piomba di nuovo – ma forse non ne era mai uscito – nella droga.

A gennaio del 1994 l'ultima sessione di registrazione con gli altri membri del gruppo, il 23 febbraio la loro ultima apparizione televisiva in assoluto proprio in Italia, a Tunnel, un programma di Rai 3 condotto da Serena Dandini. I Nirvana suonano due canzoni tra cui "Serve the servants" che nella prima strofa recita "Teenage angst has paid of well, now I’m bored and old". Praticamente un testamento in una frase. L'altra è "Dumb". In mezzo un siparietto di uno dei personaggi di Corrado Guzzanti, Lorenzo, il ragazzo alternativo fan del grunge con poca voglia di studiare e la parlata in romano stretto, che si aggira sul palco tra lo sguardo imbarazzato di Kurt e degli altri membri della band (solo Krist Novoselic si presta brevemente al gioco).

I Nirvana poi volano in Germania per l’ultima data del loro tour europeo ma Kurt il 2 marzo torna a Roma per riposarsi dove viene raggiunto dalla moglie e dalla figlia. Va in overdose per un cocktail di Rohypnol e champagne che rischia di essergli fatale. Ricoverato prima al policlinico Umberto I poi all’ospedale americano viene salvato in extremis. Il suo primo tentativo di suicidio.

Quando si riprende torna negli Stati Uniti, a Seattle, e Kurt accetta di sottoporsi ad un programma di disintossicazione a Los Angeles. Ci restò due giorni. Scappò e fece perdere le sue tracce. Il suo corpo fu ritrovato la mattina dell'8 aprile nella sua casa di Seattle. Kurt si era sparato un colpo di fucile alla testa il 5 aprile. Avevo 16 anni. Avevo perso il primo mito della mia adolescenza. L'ultimo se n'è andato con la morte di Chris Cornell avvenuta, per uno scherzo del destino, lo stesso giorno del suicidio di un altro mito della musica, Ian Curtis leader dei Joy Division.

A noi che abbiamo vissuto quegli anni e che eravamo intimamente legati a quella musica resta solo Eddie Vedder a ricordarci della nostra giovinezza, ormai davvero finita proprio perché quasi tutti gli esponenti del grunge sono morti. Ci resta la consapevolezza di aver vissuto l'unico vero momento innovativo e di rottura, nel campo musicale, degli ultimi 30 anni: dopo di loro il vuoto, terribile, come quello che ci hanno lasciato.

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