Succede poco o nulla, teoricamente, in Alcarràs, anche se in realtà quello che scorre davanti agli occhi dello spettatore è molto, per non dire tutto. Paradossalmente, infatti, Carla Simón, già apprezzata per il precedente e intimista Estate 1993, racconta, attraverso cartoline dai giorni abitudinari di una famiglia allargata, la fine di un'epoca. Ed è bizzarro, quasi ironico, che siano i pannelli solari i «cattivi» che stravolgono il destino di questo angolo di campagna catalana, dove le tradizioni agricole devono cedere il passo alla nuova sostenibilità.
La famiglia Solé, protagonista del film, coltiva pesche da generazioni. Il frutteto era stato loro offerto in gestione dai proprietari, come ringraziamento per l'aiuto ricevuto durante la guerra civile. Una stretta di mano, mai siglata con documenti ufficiali. Così, quando gli eredi informano gli affittuari che a fine estate dovranno lasciare la terra perché installeranno dei pannelli solari, l'anziano patriarca non riesce a dimostrare la sua legittima presenza. Qumet, che è suo figlio e la guida della famiglia, non accetta l'idea di convertire la terra ospitando i pannelli solari e si mette di traverso, facendo montare, giorno dopo giorno, una tensione sempre più evidente anche all'interno dello stesso nucleo. Eppure, incuranti delle giornate che avvicinano all'esproprio, la famiglia si comporta come se nulla fosse. I giovani aiutano il padre nel lavoro, come il maggiore Roger, che fa di tutto per essere approvato da lui, mentre la sorella si prepara a ballare per la festa del paese.
La vera forza del film sono i piccoli, ovvero la giovane Iris e i due cugini gemelli, simpatici nei loro strampalati giochi che vengono interrotti dai litigi degli adulti. Con gli alberi abbattuti, finisce anche la loro infanzia. Sembra, in pratica, un documentario, con pochi dialoghi.
Un Albero degli zoccoli catalano per raccontare qualcosa destinato a scomparire, e che potrebbe valere per ogni angolo di mondo. Facendoci riflettere sul prezzo da pagare, spesso ignorato, per godere di certe modernità. Meritato Orso d'oro come miglior film al Festival di Berlino 2022.
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