Se una cosa è impossibile, Gilles de Maistre la fa. Una laurea in filosofia, un passato da reporter tra guerre, carestie, disastri naturali e trascorsi da documentarista per la tv francese, coltiva due interessi prioritari. Gli animali e i bambini. La sintesi perfetta del film Il lupo e il leone, in uscita nelle sale il 20 e rivolto non solo ai più piccoli ma anche agli adulti, che hanno molto da imparare da questa ragazzina, Alma (la canadese Molly Kunz), trovatasi a convivere con un cucciolo di lupo e uno di leone e a difenderli dagli interessi di spregiudicati biologi e imprenditori circensi.
Primo punto ai limiti dell'irrealtà, la convivenza di predatori di opposte specie.
«Era una sorta di sfida nata in Sudafrica, sul set del mio film precedente. Volevo mostrare l'armonia che può crearsi tra anime antitetiche. Il felino potrebbe sbranare il cane».
E invece
«Non solo non lo aggredisce, ma si crea una fratellanza insospettabile tra i due animali, oltretutto dello stesso sesso».
Un insegnamento.
«È uno dei messaggi che ho tentato di lanciare. Conoscersi aiuta la coabitazione e facilita i rapporti. Crescendo insieme c'è un legame che nessuno può rompere. Qualunque sia la natura di ognuno».
Mozart (il lupo) e Dreamer (il leone) sono diventati adulti in coppia.
«Sono inseparabili. All'epoca delle riprese avevano tre anni. Tutti e due sono nati in Canada e la loro complicità ha stupito anche la troupe e gli stessi allevatori. Il loro comportamento non è finto né indotto. Ma spontaneo».
Quindi non appartengono alla natura ma all'uomo.
«Sono nati in cattività e sottratti a una vita di sofferenza nelle gabbie di uno zoo. Negli spettacoli di un circo. Al traffico di animali. A loro - e non solo a loro - è stata offerta una vita dignitosa».
Seconda forma di irrealtà: un leone non è autoctono in Canada.
«Molti felini sono stati introdotti in Nord America, nella regione di Calgary. Si è scoperto che si ambientano facilmente ai climi rigidi, grazie al pelo che s'ispessisce con il calare della temperatura. Tutti loro però hanno un ricovero riscaldato dove dormire la notte o ripararsi dalle intemperie».
Che esperienza è stata girare un film con loro?
«Un incubo (ride). Li abbiamo lasciati liberi di esprimersi, ma restano pur sempre un lupo e un leone. Dovevamo proteggere loro, ma anche gli altri animali che vivono liberi, i 70 componenti della squadra delle riprese... E ovviamente i farmer che si occupano di loro nella quotidianità».
Quando ha allestito il set?
«Abbiamo iniziato prima della pandemia, poi il virus ha bloccato tutto. Il governo canadese ci ha imposto di tornare in Francia e ci ha aiutato economicamente quando la situazione è migliorata e abbiamo potuto riprendere il lavoro che ancora rimaneva».
Fra i temi del film c'è il rispetto. A chi è destinato?
«Ai bambini. Non ascoltano telegiornali e non hanno modo di informarsi altrimenti. È importante far sapere loro che i pericoli si chiamano caccia, sfruttamento commerciale degli animali, traffico di pellicce, sperimentazione. Il circo e lo zoo sono una metafora di queste emergenze estreme, che anche loro potranno e dovranno combattere».
Consigli agli adulti?
«Sempre rispetto. Gli animali sono fondamentali per la vita del pianeta e dobbiamo averne cura. Senza di loro, moriamo anche noi».
Lei ha figli?
«Ne ho sei, dai cinque anni ai trenta. Due ormai adulti e quattro sotto i quindici».
Hanno già visto il film?
«Centinaia di volte. Mia moglie ha scritto la sceneggiatura e loro hanno dato idee e ci hanno messo più volte il naso. Sul set li avevo sempre intorno. Hanno dato il loro apporto di vivacità e spontaneità».
Programmi futuri?
«Affronterò il tema della
deforestazione dell'Amazzonia raccontando la storia di una ragazzina che coinvolge il suo insegnante agorafobico per salvare il suo amico giaguaro in pericolo. Dovrebbe intitolarsi Jaguar my love. Uscirà tra un paio d'anni».
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