Romulus, serie creata, diretta e prodotta da Matteo Rovere, forse non raggiungerà i fasti de "Il trono di spade", ma di sicuro è in grado di regalare un intrattenimento di livello, purché si amino le commistioni tra epica storica, tribalismo e credenze arcaiche.
Dopo aver portato al cinema, nel 2019, “Il Primo Re”, Rovere (qui con Filippo Gravino e Guido Iuculano alla sceneggiatura e con Michele Alhaque e Enrico Maria Artale alla regia), imbastisce una narrazione che di quel film mantiene la collocazione spaziale e temporale, il Lazio dell'VIII sec. a. C. e la lingua, il protolatino (con qualche incursione di osco).
Grazie a ricerche documentate e alla consulenza di archeologi, il mito fondativo di Roma è ricostruito con grande coerenza storica e stilistica, mettendo in scena un mondo arcaico in cui le lotte di potere si mischiano a culti magici e in cui i destini umani sembrano sottostare alla potenza della natura e alla volontà degli dei.
Nell'incipit di "Romulus" le varie popolazioni del Lazio sono in pace sotto la guida del Re di Alba, Numitor (Yorgo Voyagis), almeno finché un aruspice ne chiede l'esilio affinché termini il tremendo periodo di siccità. Il trono dovrebbe passare quindi ai nipoti del reggente, Yemos (Andrea Arcangeli) ed Enitos (Giovanni Buselli), quest'ultimo legato da profondo sentimento ad Ilia (l'intensa Marianna Fontana), una giovane vestale. Un intrigo cambia le carte in tavola e riduce Yemos a vagare nei boschi come l'ultimo dei reietti, infamato del peggiore dei delitti, attirandogli l'ira di Ilia, consacratasi al Dio Marte in cambio della vendetta. Yemos, attraverso varie peripezie, inizia una nuova vita in compagnia dello schiavo Wiros (Francesco Di Napoli). I due scopriranno cosa si cela dietro il culto di Rumia, creatura divina che è solita strappare il cuore di chi si avventura nella sua selva, e stringeranno l'alleanza che cambierà il destino delle popolazioni del luogo.
Strizzando l'occhio al peplum come all'horror, "Romulus" è una serie realizzata con grande dispendio di mezzi. Brilla per realismo l'impianto scenico: dai villaggi alle città, dalle armi agli usi e costumi, la ricostruzione è minuziosa e non si contano le comparse. A dare fascino al racconto è che, pur nell'immersione in una cultura così specifica, i temi abbracciati siano universali. Il sangue e il coraggio, l'amore e la dignità, la fratellanza e la solitudine interiore, sono solo alcuni dei colori a disposizione dell'affresco epico che si va creando in dieci episodi (la stampa ne ha avuti i primi sei in anteprima).
Rituali mistico-magici, battaglie feroci, uccisioni a sangue freddo, ambiguità e grandi passioni si rincorrono al ritmo di una ferinità al contempo umana e mostruosa. Tra sanguinose tradizioni, legami familiari e potenti segreti, lo spettatore si appassionerà alla realizzazione di un sogno chiamato Ruma.
Ogni episodio è preceduto dall'evocativa versione di "Shout", brano dei Tears for Fears, realizzata come sigla da Elisa.
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