La bellezza è una categoria poco utilizzata in biologia. Quando descrive gli organismi, il «ricercatore rigoroso», come scrive Christiane Nüsslein-Volhard (definizione che vale sicuramente per lei stessa), «evita di applicarla a forme, colori e suoni», poiché si tratta di una categoria troppo legata all'osservatore e a «sensazioni soggettive suscitate da qualità non misurabili degli oggetti considerati belli». Il linguaggio è da scienziato teutonico, e infatti Christiane Nüsslein-Volhard è direttrice del dipartimento di Biologia evoluzionistica del Max Planck Institute, direttrice del dipartimento di Genetica dell'Università di Tubinga e ha vinto il premio Nobel per la medicina nel 1995 per i suoi studi sui geni che controllano lo sviluppo dell'embrione; ed è proprio con l'approccio del «ricercatore rigoroso» che la biologa tedesca si occupa da anni, nel suo laboratorio, della bellezza della natura. Che è quella, poi, che colpisce tutti noi, i non scienziati, quando guardiamo un leopardo, un'orchidea, una giraffa... Un ambito relativamente recente, anche se fu Darwin il primo a occuparsi della questione in L'origine dell'uomo e la selezione sessuale, nel 1871, dodici anni dopo L'origine delle specie per selezione naturale. Poi, però, finì un po' nel dimenticatoio della biologia.
Oggi invece è una nuova frontiera di studio, come racconta Nüsslein-Volhard in un saggio breve e denso, con bellissimi disegni: L'incanto degli animali. Bellezza ed evoluzione (il Saggiatore, pagg. 116, euro 16). Risponde al telefono da Tubinga.
Perché la bellezza è importante per la scienza?
«È importante per gli animali, perché ne sono attratti, come gli esseri umani. Ha un ruolo nella loro comunicazione sociale».
Che tipo di ruolo?
«Per l'attrazione. Per esempio, fra gli uccelli, i maschi sono quelli con più ornamenti e con i colori più belli, rispetto alle femmine; essi si mettono in mostra di fronte alla femmina, così che lei possa scegliere quello che preferisce. È questo che fa sviluppare le caratteristiche più belle nella popolazione maschile».
Eppure la bellezza è stata trascurata per anni dalla scienza, come mai?
«Non è essenziale per la sopravvivenza, e la biologia si concentra sugli aspetti che hanno a che fare con lo sviluppo, l'origine della forma, il metabolismo, cioè le cose più importanti per la vita degli animali. Gli ornamenti e la bellezza non sono assolutamente essenziali per la sopravvivenza, però sono essenziali per la specie, per il suo proseguimento».
Perché questo interesse, oggi?
«Perché i problemi essenziali dello sviluppo sono stati risolti. Invece in questo campo ne rimangono molti da indagare, a partire da come si sviluppino i disegni e gli ornamenti stessi».
La bellezza è necessaria?
«Sì, per la comunicazione sociale fra gli animali. Anche se, più che la bellezza, sono necessari i colori e i disegni. Essi hanno un ruolo anche nel riconoscimento: servono agli individui della stessa specie per distinguersi dagli altri e, quindi, essere sicuri di trovare il partner giusto, per garantire la progenie. Perciò l'evoluzione degli ornamenti gioca un ruolo anche nella separazione e nella formazione delle diverse specie».
Come affrontate i misteri della bellezza?
«Lavoriamo, in particolare, sui pesci, che sono relativamente adatti agli studi sullo sviluppo, per esempio per osservare i pigmenti, da dove arrivino e come si sviluppino. Per gli uccelli o i mammiferi queste osservazioni sono molto più difficili, perché i disegni e i pigmenti si sviluppano nel grembo materno, quindi non possiamo vederli. Per esempio non sappiamo come i disegni si creino sulle piume degli uccelli, integrandosi fra una piuma e l'altra».
Quindi nel suo laboratorio studiate i pesci?
«Sì, il Danio rerio, o pesce zebra, che è un modello molto usato anche per studiare le malattie e lo sviluppo: produce molte uova trasparenti, che possono essere osservate in gran numero e sulle quali si possono fare esperimenti, per esempio test sulla tossicità o sui trattamenti medici».
Il pesce zebra è bello?
«Beh, ha un disegno a strisce, molto grazioso. Il problema è come sorga, questo disegno... Ancora non sappiamo come funzionino tutti i dettagli».
Quali sono gli aspetti più problematici?
«In particolare, il fatto che specie strettamente imparentate abbiano dei disegni molto diversi: il che significa che, apparentemente, pochi geni provocano cambiamenti enormi. Questo è affascinante».
Bastano pochi geni per cambiare tutto l'aspetto?
«Sì, sembra che sia così. Un solo gene provoca differenze strabilianti. E pochi geni svolgono un ruolo fondamentale. Ora quello che dovremo fare è confrontare i geni nelle diverse specie».
C'è un legame con gli esseri umani?
«Negli esseri umani non ci sono disegni ma soltanto colori, e la pigmentazione funziona in maniera abbastanza simile. Gli ornamenti giocano lo stesso ruolo che nei pesci, o negli uccelli, ma la situazione è completamente diversa, perché gli ornamenti umani sono degli artefatti, sono caratteristiche artificiali, che contribuiscono a fare ciò che la natura fa negli animali, attraverso i disegni. Gli umani sono gli unici animali ad avere ornamenti artificiali».
C'è un senso estetico negli animali?
«Reagiscono agli ornamenti e ai colori, come le femmine rispetto ai maschi dell'uccello del paradiso, o del pavone. C'è un senso di piacere provocato dalla bellezza».
Che altri ruoli svolge?
«Di protezione. Gli ornamenti e i colori sono sfruttati nel camouflage, per non farsi individuare dai nemici. Oltre al camaleonte, ci sono rane, per esempio, che hanno lo stesso aspetto della superficie su cui si posano. C'è chi assume l'aspetto di una foglia, di un sasso... Gli uccelli che covano sono meno colorati, per non farsi notare dai predatori».
E le strisce delle api?
«Quelli sono segnali di velenosità. Negli insetti e nei serpenti, per esempio. Così i predatori capiscono che sono animali velenosi. È un segnale: per favore, non mangiarmi. O, se lo farai...».
Qual è l'aspetto più affascinante dei suoi studi?
«Sono affascinata da questi disegni e dalle loro differenze, da come si evolvono e dal ruolo che rivestono. E poi è un argomento del quale si parla poco».
Se ne parlerà sempre di più?
«Credo che ci sarà sempre più interazione fra chi lavora su come si sviluppano gli ornamenti e chi studia il loro ruolo nella vita degli animali, cioè fra biologia dello sviluppo e biologia comportamentale, e con la biologia evoluzionistica, che vuole conoscere sempre meglio l'evoluzione delle specie».
La bellezza può inglobare tutte
queste discipline?«È un campo piccolo, non molti vi lavorano, ma è affascinante. I dettagli su come i disegni si sviluppano interessano anche altri meccanismi e aspetti della biologia. È un campo piccolo, ma grande».
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