Buddha, haikai e teatro No. Pound fra Giappone e Cina

Sintesi, ieraticità e sacralità della cultura orientale ispirarono i "Cantos". Anche a dispetto di Eliot...

Buddha, haikai e teatro No. Pound fra Giappone e Cina

La scena primaria è questa. 3 maggio 1945: due partigiani prelevano il poeta a Sant'Ambrogio, Liguria. Il poeta sta traducendo Confucio, si mette in tasca il libro, unico ristoro durante la detenzione al Disciplinary Training Center, nei pressi di Pisa, sotto tiro dei soldati, reo di tradimento, trattato come un reprobo, un assassino. Proprio quell'anno, per le Edizioni Popolari di Venezia il poeta aveva pubblicato L'asse che non vacilla, testo di Confucio «dato quasi interamente alle fiamme subito dopo la Liberazione perché sospetto di propaganda in favore dell'Asse Berlino-Roma-Tokio» (Mary de Rachewiltz). Insomma, i rapporti tra Ezra Pound e l'arcaica, arcana civiltà cinese sono noti: nel Postscriptum a Guide to Kulchur, il poeta consiglia di usare «come sestante», come orientamento elementare, Omero, «i tragediografi greci», la Divina Commedia; ma prima di tutti, su tutti, intima di leggere «Confucio e Mencio», perché «contengono le soluzioni di tutti i problemi di condotta che possono sorgere». Nel 1974, per Feltrinelli, Girolamo Mancuso - traduttore, tra l'altro, delle poesie di Mao Tse Tung - pubblica un libro, Pound e la Cina, che racconta «le tappe fondamentali della via poundiana alla Cina», «una rigorosa ricostruzione dell'itinerario ideologico che porta da Confucio a Mussolini». Il volume è fuori catalogo.

Ciò che si dimentica, semmai, per dirla sommariamente come me la dice Mary de Rachewiltz al telefono, è che «tutto, in Pound, ha avuto origine dal Giappone». L'asserzione è sviluppata in uno studio immane, Ezra Pound's Japan, firmato da Andrew Houwen e pubblicato lo scorso anno da Bloomsbury. La prima fascinazione di Pound per il Giappone accade a Londra, tramite Laurence Binyon, responsabile delle stampe orientali al British Museum, autore nel 1911 di uno studio pionieristico sull'arte nipponica, The Flight of the Dragon. Nel 1913, su Poetry, Pound realizza in versi ciò che ha appreso sui libri: la poesia imagista In a Station of the Metro, «L'apparizione di quei volti nella folla:/ Petali su un ramo nero e umido», «simile ad un haikai» - così Pound nel saggio Vorticismo - è il primo indizio del «metodo» lirico ideato da Ez, che assembla rapidità, concretezza, immagine immediata. Nel saggio in cui parla dell'haiku e della teoria del Vortex di Wyndham Lewis, Pound cita il cubismo e il cinematografo, Kandinsky e Villon, Ibico, Bach, i monaci-poeti della Cina antica, la sapienza matematica. Vuole riassumere il mondo in un chicco di riso, in un distico.

I manoscritti che la vedova di Ernest Fenollosa, orientalista americano docente all'Università Imperiale di Tokyo, gli aveva affidato nel 1913, furono l'autentica svolta nella concezione poetica di Pound. Con catartica e caotica violenza, pubblica come Cathay (1915) alcune versioni dai poeti classici cinesi; l'anno dopo stampa Certain Noble Plays of Japan e «Noh», or, Accomplishment: A Study of the Classical Stage of Japan. La verace scoperta di Pound non sono le poesie di Li Po e dei grandi poeti cinesi, già note in Europa, ma gli enigmi del teatro No, una sortita nel sortilegio giapponese, la camera dei segreti della somma letteratura d'Oriente. «Il No è indubbiamente un'arte elevatissima e, con tutta probabilità, una delle più recondite... una raffinatezza, in epoca barbara, paragonabile all'arte della rima polifonica sviluppatasi nella Provenza feudale... arte dell'allusione, o amore dell'allusione nell'arte è alla radice del No», scrive introducendo le sue traduzioni.

Il No offre al poeta ciò di cui ha bisogno: ieraticità e sintesi, arte dell'analogia e della sprezzatura, parola depurata da vacui ornamenti, spazio sacro, soprattutto. La struttura dei Cantos ha come ideale Dante, ma come scheletro il No: la Divina Commedia è il tempio, l'antico teatro giapponese il genio. Quando, ebbro di Giappone, Pound invia ad Harriet Monroe, austera fondatrice di Poetry, i primi tre Cantos, è il 1917, le confessa che «grosso modo mi atterrò alla storia di Takasago, un dramma No». Il dramma racconta, per lampi, l'epica dell'amore imperituro («Ciò che ami per sempre resta»), che vince la morte.

Infine, Pound optò per Confucio e la storia cinese. Fu William Butler Yeats, che Ezra aveva iniziato ai riti dell'arte giapponese, ad appropriarsi del No, «trapiantandolo» nel teatro Irish. Cos'era accaduto? Che all'amico T.S. Eliot le fascinazioni di Pound verso il teatro giapponese piacevano poco. In The Noh and the Image (articolo uscito su The Egoist nel 1917), Eliot suggerisce di pubblicare quei testi scissi dalle note di Fenollosa, scrive che i drammi sono «un servizio alla letteratura», utili «per capire più che per il loro valore intrinseco». In sostanza, ritiene le traduzioni dai poeti cinesi «opere originali» di Pound, relegando il teatro No, pressoché incomprensibile, a un gioco, una follia, una fola. Nei Selected Poems di Pound, Eliot antologizza alcune poesie da Cathay, dimenticandosi delle traduzioni giapponesi. Di lì a poco Arthur Waley, grande orientalista assunto presso il British Museum, avrebbe pubblicato una versione più accurata dei Noh Plays of Japan (1921), punto d'avvio per la traduzione dei grandi classici del Giappone.

Tutto finito? Non proprio. L'indomabile Pound si flette ma non si rompe. Chiunque legga le sue versioni del teatro giapponese - pubblicate in Italia nel 1966 da Vallecchi, per la cura di Mary de Rachewiltz, ormai introvabili - riconosce forme, crismi, ritmi dei Cantos. Nel 1928 i genitori inviano a Pound il manoscritto del Sho-Sho Hakkei, un album giapponese con otto calligrafie e altrettante immagini, in inchiostro di china, dono della zia Frank, che costituisce il baricentro del Canto XLIX: For the seven lakes. «L'analisi dei Cantos rivela quanto Pound fosse debitore dei Giapponesi della tecnica che il No gli offriva, caricando di significato le impressioni fluttuanti, che diventavano immagini», scrive Maria Costanza Ferrero De Luca. In un articolo pubblicato sul Japan Times nel dicembre 1939, Pound torna a ragionare sugli Study of Noh in Occidente, in seguito alle scoperte di Fenollosa.

Negli ultimi barlumi verbali raccolti come Drafts & Fragments, lampi orfici, agnizioni abissali, Pound torna a riferirsi al teatro No. «Incerto fantasma, io che parlo/ Forma sfuggente.../ Tornata a far luce agli uomini/... Soltanto un guscio di locusta spezzato./ L'anima-fiore si scioglie in Budda», aveva scritto traducendo Kakitsubata, un dramma di Motokiyo Zeami, nell'era della feroce giovinezza, trentenne.

«Un po' di luce, come un barlume/ ci riconduca allo splendore»; «Aver sentito il respiro della farfalla/ è come gettare un ponte fra mondi», detta il poeta nei versi terminali dei Cantos. Il mondo, ormai, non gli sembrava che una tazza di ceramica, fugace fragilità; da tempo sussurrava ai morti, le dita simili a ideogrammi.

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