Caravaggio e Canova in estasi per la Maddalena

Difficile immaginare due artisti più lontani, eppure se accostiamo due opere con lo stesso soggetto...

Caravaggio e Canova in estasi per la Maddalena

Difficile immaginare due artisti più lontani di Caravaggio e Canova. Ma, a dispetto di quello che sembrerebbe logico, Canova non ha forse mai visto la Maddalena di Caravaggio, e non tanto perché essa sia tra le opere più tardivamente apparse con il nome di Caravaggio, ma per una ragione profondamente estetica, di opposte visioni della religione, della bellezza, del dolore. Infatti, nel pieno declino della fortuna caravaggesca, appariva a Napoli una Maddalena appartenuta alla principessa Carafa Colonna venduta intorno al 1873 a Michele Blando. È questa la versione da molti accreditata come autografa (prima che Mina Gregori ne presentasse un'altra), oggi nella collezione degli eredi dell'avvocato Giuseppe Klain, esposta a Napoli nel 1963, restaurata da Pico Cellini nel '72, riferita a Caravaggio da Maurizio Marini nel '74. Una escursione recentissima, nella sempre crescente euforia caravaggesca, sopita, dopo l'incendio romano all'avvento del pittore, e ancora quarant'anni dopo la sua morte disperata e pasoliniana, per quasi tre secoli, fino alla resurrezione con la mostra di Milano nel 1951, e con la riabilitazione taumaturgica, e impensabile, di Roberto Longhi. Certo, era possibile vedere Caravaggio anche nell'Ottocento ma, alla fine del secolo, nel 1898, il giudizio sul pittore, impietoso, non veniva dalla prima demonizzazione di Giovan Pietro Bellori nel nome del bello ideale, e neppure dal giudizio morale della Chiesa, ma dagli indici di valore materiale, di valutazione, oggi spaventosamente rovesciati, dopo il caso dell'Ecce homo di Madrid. Alla Galleria Borghese, in quell'anno, i capolavori di Caravaggio erano a malapena ricordati, e con valutazioni imparagonabili a quelle dei maestri del Rinascimento, e perfino dei classici del '600.

Il Davide con la testa di Golia di Caravaggio era stimato 1500 lire, meno della testa di Giovane di Savoldo (5.000 lire), meno del San Giovanni Battista di Paolo Veronese (30.000 lire), meno del Ritratto virile di Lorenzo Lotto (50.000 lire), meno della Caccia di Diana di Domenichino (50.000 lire ), meno del Ritratto d'uomo di Antonello da Messina (60.000 lire), meno della Madonna con il bambino e angeli di Botticelli (125.000 lire ), meno della Deposizione di Raffaello (un milione di lire ), meno della Danae di Correggio (un milione di lire), meno dell'Amor sacro e amor profano di Tiziano (due milioni di lire). Questo l'implacabile indice del gusto che oggi potrebbe essere letteralmente rovesciato. Dunque, ai tempi di Antonio Canova (1757-1822), Caravaggio era un puro nome, un pittore di quinta fila, lontanissimo dall'ideale classico cui il grande scultore doveva essere interessato a guardare. La fortuna di Caravaggio, agli inizi dell'800, era certamente ai minimi storici Il successo di Canova, agli inizi dell'800, era così travolgente da portarlo a costare ai collezionisti (rispetto alle quotazioni del Caravaggio sopra ricordate, circa quanto dovette essere pagata, in quello stesso tempo, la Maddalena di Klain) almeno 60 volte di più. Poteva Canova aver abbassato il suo sguardo su Caravaggio? Verrebbe da dire piuttosto di no. Su quella Maddalena, o su quella recentemente attribuita da Mina Gregori? O sulla versione proveniente dalla Francia - esposta alla mostra Maddalena. Caravaggio e Canova (Museo Gypsotheca Antonio Canova, Possagno, dal 1° maggio al 21 novembre 2021) - dove più facilmente Canova potrebbe averla vista? Non lo sapremo mai, ma sappiamo che Canova è il punto di arrivo del bello ideale teorizzato da Giovanni Pietro Bellori che ne aveva visto la prima incarnazione in Carlo Maratti, e che certamente l'avrebbe ritrovata anche in Canova.

Secondo il Bellori, i pittori e gli scultori si formano nella mente un esempio di bellezza superiore e, in esso riguardando, emendano la natura; quest'idea della pittura e della scultura originata dalla natura supera la sua origine e si fa originale nell'arte. Il Bellori è, come si intende, un seguace della teoria platonica, o meglio neoplatonica, secondo la quale l'artista deve attuare il bello ideale, ossia un tipo universale di bellezza suprema, il bello assoluto, incarnazione delle eterne idee. Anche per questo il Bellori ben può dirsi precursore del Winckelmann, che di tale teoria fu fervido sostenitore nel secolo seguente, informando di essa tutta la reazione neoclassica al Barocco, compiutamente realizzata da Canova. Egli rappresenta nel Seicento l'idealismo classico contro il manierismo e il naturalismo caravaggesco.

Con queste premesse è difficile immaginare che Canova inclinasse il suo sguardo sopra la drammatica e dolente Maddalena di Caravaggio. Ma non dobbiamo essere così decisivi nell'escluderlo. Nella pittura tra Cinquecento e Seicento Canova certamente guardò Giorgione e Tiziano e, come è prevedibile, Guido Reni, Guercino, Rubens, Poussin, Lorrain, ma anche «Miguel Angelo da Caravaggio» e, anche senza un diretto confronto con i maestri sopra citati, si misurò con il tema della Maddalena in due momenti: una prima versione, nei primi anni '90 del Settecento, mostra la figura della donna reclinata in avanti nella dolorosa meditazione della croce. Da Canova promessa al conte Tiberio Roberti, dopo l'occupazione francese del Veneto fu acquistata da Jean-Francois Julliot nel 1798 per 1.000 zecchini romani, l'equivalente di 70 milioni di lire, cinquanta volte più di un dipinto di Caravaggio. L'ispirazione di questa prima versione non può certo dirsi caravaggesca, nonostante la ricerca di pathos. Tra 1808 e 1809 Canova modellò una seconda versione della Maddalena penitente per Eugene de Beauharnais, oggi all'Ermitage. Messe a confronto, le Maddalene non presentano sostanziali differenze. Ma la terza, straordinaria interpretazione, che risale alla piena maturità dello scultore, nel 1819, come indica l'iscrizione graffita sul modello in gesso della Gypsotheca di Possagno, ci mostra un nuovo volto di Canova pronto ad ispirarsi, volta a volta, alla Cleopatra di Guercino in Palazzo Bianco a Genova, alla Ludovica Albertoni di Bernini, nella chiesa di San Francesco a Ripa a Roma, e forse proprio a Caravaggio ben più di quanto non potesse far pensare la prima. Qui, il semplice abbandono del corpo, tra deliquio ed estasi, nulla tiene della tormentata gestualità teatrale recitata da Bernini, ma molto della semplicità con cui si distende e reclina all'indietro il capo la Maddalena di Caravaggio, con le lacrime che le solcano il volto e i capelli che le scendono sulle spalle. Le efficaci fotografie del catalogo della mostra ne mostrano maliziosamente le consonanze, le affinità, perfino nell'apertura della bocca, nella plasticità delle lacrime, nel movimento dei panneggi, nelle loro onde. Casualità, certamente. I mondi di Caravaggio e di Canova sono opposti ma, nel dolore e nella penitenza che si fa estasi, deliquio, sembrano convergere. Deliquio: oscuramento passeggero della coscienza, venir meno nei sensi. D'altra parte, Caravaggio o non Caravaggio, ne fu pienamente consapevole Canova che, dopo la fortuna della prima, scrisse a Quatremère de Quincy: «E sposi un altro modello di una seconda Maddalena, distesa in terra e svenuta quasi per eccesso di dolore di sua penitenza: soggetto che piace moltissimo, e che mi ha fruttato molto compatimento ed elogi assai lusinghieri».

In quel «molto compatimento» c'è alcunché di

consonante con Caravaggio. Non potremo saperlo, ma possiamo compiacercene, e pensarlo. E stabilire qui, senza prove, un dialogo a distanza tra Canova e Caravaggio. Gli occhi, le emozioni ci possono dire di più delle carte.

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