«Ogni cosa mentre è mi delude, e quando è passata la rimpiango»: è questa la tragedia umana di Pier Paolo Pasolini come scrive in una delle trecento lettere inedite contenuta in Pasolini Le lettere ora in libreria per Garzanti a cura di Antonella Giordano e Nico Naldini. Viene promosso come «volume che riunisce per la prima volta in forma completa l'epistolario di Pier Paolo Pasolini», sin dalla seconda di copertina (e da tutti i quotidiani che ne hanno scritto seppure siano evidenti alcune lacune agli occhi degli esperti di Pasolini). Nella introduzione sono annunciate «300 lettere inedite», difficile capire quali, almeno a colpo d'occhio: il dopio asterisco contrassegna tutto ciò che (edito o inedito) mancava nella precedente edizione del carteggio, uscita per Einaudi (come pure spiega la Nota al testo). In ogni caso nel calderone dell'inedito finisce anche una missiva scritta nei giorni della morte del fratello Guido. Logico che nelle intenzioni di Pasolini fosse un ricordo in forma epistolare ma non una lettera: a chi la spediva? Tanto è vero che è lo stesso scrittore a sottolineare: «in questo diario».
Certo poi ci sono inediti preziosi: lo stesso ricordo del fratello - ucciso appena diciannovenne a Porzus dai partigiani gappisti - è struggente e lontano dalla retorica del dolore come pochi riuscirebbero a scrivere (intrisa di violenza, strappata, lancinante ma anche di razionale tenerezza). Gli inediti per la maggior parte sono lettere inviate a suoi lettori o più spesso a giovanissimi poeti e scrittori che a lui si rivolgevano per un parere. E proprio in queste lettere si scopre un Pasolini lontano dal famelico ritratto di divoratore di «ragazzi di vita»: un Pasolini mosso da un intento pedagogico, generoso e al contempo troppo intelligente per non capire che oltre ai suoi interlocutori colti (Contini, Ungaretti, Morante, Bertolucci, Bassani, Giulio Einaudi, Livio Garzanti) la sua forza era proprio confrontarsi con sconosciuti. Leggeva i loro componimenti, i loro libri, rispondeva a volte ammirato a volte con critiche feroci: al contempo non mancava il confronto con i più giovani, con le loro idee, cercando di insegnare loro non la strada migliore ma una strada che fosse la loro. Tra quei ragazzi anche Walter Siti, Premio Strega, oggi massimo esperto di Pasolini tanto da aver curato ben undici Meridiani Mondadori dedicati all'opera dello scrittore. Un Siti che ci conferma come l'epistolario sia incompleto (mancano le lettere raccolte proprio da lui nei Meridiani, quelle spedite a riviste e a critici) e comprenda molte imprecisioni (ad esempio lui laureato alla Normale di Pisa nel testo è laureato a Firenze): risente di non essere stato completato da Nico Naldini (scomparso lo scorso Settembre).
Il Pasolini che leggiamo è anche un Pasolini sempre più deluso dalla sinistra: non per vendetta contro quel PCI che da giovane insegnante lo aveva espulso per «immoralità» ma per una sua visione che letta oggi è attualissima: nel 1968 riflette su «quanta demagogia abbiano fatto le Sinistre sulla parola pace. Da ciò, quindi, la mia colpevole renitenza. Se io dovessi scegliere il mio eroe, no sceglierei certo Che Guevara, né Mao: sceglierei Camillo Torres. Che ne direbbe Camillo Torres (ndr: guerrigliero colombiano) della pace, Camillo Torres ha parlato della pace facendo la guerra. Ne ha parlato, cioè, attraverso il linguaggio della guerra». In un'altra lettera risponde a un poeta: «La libertà dell'io in direzione basso-alto, che direzione metastorica. Ed è questo che non mi fa essere comunista». Perché, continua, «io per cultura intendevo la storia nel suo manifestarsi attuale: quindi qualsiasi atto in fondo anche il più meramente pratico - è un atto culturale».
Malgrado le mancanze filologiche, che lasciamo agli studiosi e abbiamo qui voluto unicamente segnalare, questa raccolta è la migliore lettura possibile di questo anno: nessuna delle 1500 pagine risente del tempo. Nieante a che fare con certi epistolari che sono puramente per specialisti. Perché in ogni lettera Pasolini ha talmente tanta forza che sembra scrivere a noi. E così si crea una strana e insolita simbiosi tra noi e lo scrittore: e la lettura non stanca, si fa compulsiva. Leggendo questo Pasolini diventi complice. Più che un libro è un dono. Poi, certo, ci sono le dimenticanze. Ad esempio le lettere inedite inviate tra gli anni '50 e 60 a Giancarlo Vigorelli, che insieme a Gianfranco Contini, lo ho scoperto e aiutato sin dagli esordi. Lettere che ho pubblicato anni fa sulla rivista Satisfiction (le trovate qui a fianco): sempre in bilico tra timidezza quasi reverenziale e affetto, bisogno conclamato di aiuto e brevi ma folgoranti confidenze Pasolini si mostra ansioso per una mancata risposta.
In quegli anni Vigorelli gli commissiona molti articoli per le sue riviste ed è tra i pochissimi intellettuali italiani - Alberto Moravia, Carlo Bo, Gianfranco Contini ed Emilio Cecchi - a difenderlo durante il processo per oscenità intentato nel 1955 contro Ragazzi di vita.
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