A 75 anni suonati ha ancora cuore e anima gonfi di rock and roll. Bobby Solo, l'Elvis versione melodica made in Italy (quello più rock era Little Tony) non smette di far vibrare i fan e - dopo i dischi dedicati a Johnny Cash e a John Lee Hooker - pubblica un EP con alcuni brani di grandi (e da noi ingiustamente misconosciuti) come il re dello swamp rock Tony Joe White e il vate dei cantautori Kris Kristofferson intitolato indicativamente Good Blues Volume 1.
Come mai ha scelto questi due autori?
«Sono due grandi della canzone americana e due personaggi a cui sono molto legato. Tony Joe White aveva un segreto, usava il pedale wah wah senza schiacciarlo fino in fondo ma usandolo solo a metà, così otteneva il particolare vibrato che caratterizzava la sua musica, il swamp rock, come faceva anche John Fogerty coi Creedence. Tony Joe ha scritto Polk Salad Annie, che divenne un cavallo di battaglia di Elvis dal vivo. Kristofferson è un poeta ma anche la sua musica è molto vibrante».
Le vibrazioni sono importanti nel rock.
«Sono tutto nel rock; pulsazioni, vibrazioni e ritmo, e un giusto equilibrio tra melodia e ritmo scatenato. Io ora mi dedico al blues e al rock'n'roll. Del resto Elvis incise per prima cosa un blues, That's All Right Mama, di Arthur Big Boy Crudup, trasformandolo in qualcosa di diverso. Da una ventina d'anni non suono più solo la chitarra ritmica ma faccio degli assolo che piacciono al pubblico e agli addetti ai lavori. Soprattutto a Chris Bacco, il produttore, che con la sua lunghissima barba ricorda il mitico produttore Rick Rubin, quello che ha rilanciato Johnny Cash».
Johnny Cash è un altro dei suoi idoli.
«L'ho conosciuto a Francoforte nella base militare tedesca, c'era anche Carl Perkins che interpretò il classico Matchbox Blues. Cash cantava con la moglie June Carter e brandiva la sua Gibson nera. A quei tempi il suo manager era Bill Pearl, a suo tempo tirapiedi del manager di Elvis, il colonnello Parker».
Come è arrivato al rock'n'roll?
«Ero innamorato di una ragazzina con una coda di cavallo stupenda, una giovane americana - figlia di un giornalista del New York Herald Tribune - che mi parlò per la prima volta di Elvis. Io ero abituato a Johnny Dorelli e Fausto Cigliano ma rimasi colpito e chiesi a mia sorella Fiorenza, che abitava negli Stati Uniti, di mandarmi i dischi di Elvis. Mi arrivarono quindi Shake Rattle & Roll, Love Me tender e due LP di Elvis. Poi andai al cinema a vedere Jailhouse Rock, ovvero Il delinquente del r'n'r e uscii gasatissimo, me ne tornai a casa che sembravo Alberto Sordi quando faceva l'americano e dissi a mia madre a' ma, fammi 'na pasta».
E la chitarra?
«Fu un artigiano che lavorava vicino a casa mia a insegnarmi quattro accordi in croce, poi feci tutto da solo. Suonavo in una band rockabilly e da solo a casa cantavo sopra ai dischi di Elvis. Quando mio padre fu trasferito a Milano cominciai a fare sul serio in una band dove c'era anche Franz Di Cioccio che aveva già una bella batteria Meazzi, suonavamo nei localini e tampinavamo continuamente le ragazze».
È giusto dire che lei ha rappresentato il lato melodico di Elvis e Little Tony quello più rock?
«Sì perché anch'io, come Elvis, stravedevo per Dean Martin e al tempo stesso per blues rocker come JJ Cale o signori del country come WIllie Nelson».
Ma eravate rivali lei e Little Tony o era solo pubblicità?
«Eravamo amici, erano i manager che si contendevano le nostre serate. Quando ho conosciuto Little Tony lui aveva una Jaguar E verde metallizzata e io 10mila lire che mi aveva dato mia madre. Siamo diventati subito amici anche se eravamo come il diavolo e l'acquasanta. Io gli rubavo spesso il chitarrista, suo fratello Enrico Ciacci, per divertirci con qualche serata rockabilly».
Cosa ricorda del successo di Una lacrima sul viso?
«Al Festival, quel 1962, ero timidissimo e cantavo in coppia con Frankie Laine detto Tonsille d'acciaio. Quando persi la voce e cantai in playback fu la mia fortuna perché la mia voce risultava perfetta. Poi quando la eseguii dal vivo avevo già venduto milioni di copie».
E Zingara, sempre a Sanremo?
«Fu un onore cantare con Iva Zanicchi. Era una ragazza bellissima nel '68, ricordo che facemmo un servizio fotografico per Oggi all'Idroscalo di Milano e lei aveva un golfino rosa che ne esaltava la bellezza. Al Festival fummo una coppia di ferro e la canzone divenne un successo mondiale. Nicola Di Bari ne vendette 9 milioni di copie nei paesi sudamericani e la cantò anche Connie Francis. Nella sua versione c'è una curiosità: quando attacca, con accento americano, dice prendi questo in mano, zingara».
Ha nuovi progetti?
«Quando finirà questa pandemia vorrei incidere qualche brano di B.B.King e ancora di John Lee Hooker. Poi suonerò con una giovane chitarrista e cantante colombiana che vi sorprenderà».
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