«Così ho pensato di andare verso la grotta, in fondo alla quale, in un paese di luce, dorme, da cento anni, il giovane favoloso», scrive Anna Maria Ortese, raccontando del suo pellegrinaggio alla tomba di Giacomo Leopardi (Da Moby Dick all'Orsa Bianca, Adelphi). E adesso quel «giovane favoloso», che fu infelice fino a morirne, rivivrà nel biopic di Mario Martone, Il giovane favoloso, appunto. Pronto per la 71esima Mostra del Cinema di Venezia, dove andrà in concorso, quest'insolito film sul poeta di Recanati «irresistibile e infinito», per il regista napoletano innamorato dell'Ottocento pare abbia il Leone d'oro in tasca.
Carrozze, cavalli e costumi sontuosi, allestiti grazie a un budget di alto livello che Ministero, Rai e Camera di Commercio di Ancona, insieme a un pool di industriali marchigiani, hanno assicurato di slancio. Scommettendo sulla fascinazione che Leopardi, interpretato da Elio Germano, continua a promanare. 16 settimane di riprese nei luoghi dove visse il poeta, oppresso dal padre, l'esigente conte Monaldo (Massimo Popolizio), ed ecco la malinconia leopardiana farsi antiretorica. «Si mette sempre l'accento sulla malinconia leopardiana, ma sono la forza dell'illusione e la consapevolezza della caducità del vero, i tratti distintivi della sua modernità. In questo senso, Leopardi parla di oggi. È come se avesse previsto la caduta delle nostre magnifiche sorti», spiega Martone, che nel 2011 ha messo in scena per lo Stabile di Torino, che dirige, Le operette morali. A parte la modernità dei «tristi e cari moti del cuor» e oltre l'ipersensibilità sentimentale, che cosa ha spinto il regista a girare un film che non risponde ad alcun genere? «Quando sono andato a Recanati, in quella sorta di prigione borgesiana fatta di libri e di muri, che era la sua casa, in quella gabbia in cui il giovane Giacomo imparava a conoscere il mondo, ho seguito l'istinto. Poi, la lettura di Anna Maria Ortese m'ha fatto capire che noi sentivamo, in Leopardi, una dimensione visionaria e aperta», racconta Martone.
Del resto, non c'è nel poeta recanatese un solo verso che non sia autobiografico: la vita, per lui, è tutt'uno con ciò che scrive. Non mancheranno, pertanto, le ricordanze amorose per Fanny Targioni Tozzetti, la vagheggiata Aspasia qui interpretata dalla sensuale Anna Mouglalis, oppure i motivi polemici di quando il poeta reagisce al clima politico-culturale che lo circonda. E, ancora, la storia d'amicizia con Antonio Ranieri (Michele Riondino), l'amico del cuore di 8 anni più giovane, che lo strappa allo stretto mondo di Recanati e all'ambiente familiare, privo di slanci e confidenze. «E pensare che nella maestosa tomba eretta dal Ranieri per l'amico Giacomo, Antonio non ci mette un bel niente, né oggetti, o vestiti. Credo che abbia fatto un bel gesto simbolico, in ogni caso», riflette il regista, pronto a riabilitare, tuttavia, la figura di papà Monaldo. Un uomo erudito dalla très grande bibliothéque, degna d'un principe, piena di testi rari e manoscritti proibiti.
Dove, grazie agli eredi, Elio Germano ha potuto guardare oltre la finestra, «gli infiniti spazi e solitaria quiete», curvo per fiction sui testi eruditi. Impresa difficile, quella di raccontare gli «anni di studio matto e disperatissimo» noti ai liceali, insieme a certi atteggiamenti verso la vita, tra condizioni di salute sempre peggiori e assilli economici. «Ho pensato spesso a Pasolini, per via della forte tensione dialettica: Leopardi si mette sempre in discussione.
In Tristano e un amico, per esempio, gli argomenti usati dai suoi avversari sono forti, lui spiega bene le ragioni dei nemici, che poi sono i liberali dell'epoca, senza mai ridicolizzarli. Però lui è come se vedesse oltre, come se vedesse già i totalitarismi, il capitalismo realizzato e trionfante, le guerre». Viva Leopardi!, allora, come si legge sui muri di Firenze.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.