Così "High life" fonde la fantascienza con l'arte contemporanea

La pellicola della regista francese Claire Denis sfrutta le geniali installazioni di Olafur Eliasson

Così "High life" fonde la fantascienza con l'arte contemporanea

Tra i generi più popolari, la fantascienza è da tempo quello con cui gli autori aspirano a misurarsi. Dai grandi classici diretti da Kubrick e Tarkowski, ai più recenti Gravity con cui Alfonso Cuarón vinse l'Oscar e Interstellar di Christopher Nolan, premiato a sua volta con la statuetta per i migliori effetti speciali. Altri se ne potrebbero citare come una filiazione del cinema d'essai che tocca in alcuni casi il vero e proprio art-movie.

In effetti la Science Fiction e l'arte contemporanea condividono la necessità di includere una profonda riflessione sul tempo e sullo spazio che supera la percezione cui siamo abituati nella quotidianità. Accanto a vicende che reggono la drammaturgia si inserisce una sorta di neometafisica galleggiante e priva di peso che influenza le relazioni tra persone costrette a occupare spazi ridotti pur avendo a disposizione l'immensità della volta celeste e che non sono consapevoli di quanto tempo reale le allontani dal ritorno alla vita precedente.

Cinema e arte si trovano spesso nell'impossibilità di descrivere materialmente queste inedite condizioni - non bastano tute e navicelle - che devono essere restituite allo spettatore in maniera molto sottile ed evanescente. D'altra parte la fantascienza è il luogo del possibile, quello in cui si alterano gli equilibri e di cui soprattutto non si intende il vero significato del limite.

Queste e altre riflessioni scorrono in High Life, il film di Claire Denis ultimato nel 2018 e ora nelle sale italiane. La regista francese 78enne, dopo aver affrontato temi sociali e conflitti familiari, approda al suo lavoro più ambizioso, immaginando un giovane uomo (Robert Pattinson) che cresce la figlia dentro una navicella spedita oltre il Sistema solare. Solo - ancora una volta uno spazio piccolo che protegge dall'infinito sconosciuto - poiché gli altri dell'equipaggio sono tutti morti, rivive episodi della propria esistenza attraverso flashback che interrompono ulteriormente la linea del tempo.

Del film si sta parlando non soltanto per l'ulteriore sguardo autoriale sul genere e per alcune scene di sesso di cui è protagonista Juliette Binoche. Denis ha voluto coinvolgere Olafur Eliasson, uno dei più celebri artisti contemporanei, chiedendogli di immaginare la possibile (o impossibile?) visualizzazione del «buco nero». In particolare nel 2014 Eliasson presentò alla Fondation Louis Vuitton di Parigi l'opera dal titolo Contact realizzata, come di consueto, attraverso lo studio della luce, la cui ispirazione è stata adattata per le sequenze finali del film. Buona parte dei lavori di Eliasson sono infatti immateriali, composti da pochi elementi apparecchiati come usa più nel cinema che nell'arte, capaci di trasmettere emozioni fortissime attraverso il coinvolgimento del pubblico. The Weather Project, la grande installazione della Turbine Hall alla Tate Modern di Londra nel 2002 resta probabilmente la più importante tra quelle realizzate finora nel nuovo secolo: un gigantesco sole che non tramonta mai, lo spazio avvolto nel fumo, le persone sdraiate ad ammirare un paesaggio utopistico e fantascientifico.

L'anno scorso proprio la Tate gli ha dedicato una stupefacente antologica in cui sono state riproposte le opere migliori del suo percorso, spostata poi al Guggenheim Bilbao e riaperta in giugno dopo il lockdown. Danese di nascita, islandese di origine e (in genere) berlinese di cittadinanza, Olafur Eliasson è l'idealtypus dell'artista anni Duemila. Prima di essere spettacolare e intenso, è persona impegnata nelle giuste cause ambientali, esprime concetti solo politicamente corretti e tende a porre l'attenzione sulle questioni urgenti relative al pianeta Terra. Ma non è niente affatto noioso, non attacca pipponi o proclami, puntando anzi su effetti stupefacenti e psichedelici: la prima cosa che viene da dire davanti a una sua opera è «wow», poi semmai si legge la didascalia. Molto contemporaneo è il suo modo di organizzare lo studio, una Factory dove lavorano architetti, scienziati, fisici, ambientalisti, tutti giovani, perché la sua visione dell'artista è quella di un intellettuale-attivista che conosce il proprio tempo e sente la necessità di un confronto.

Classe 1967, Eliasson peraltro appartiene a quella generazione di artisti - come Steve McQueen o Francesco Vezzoli - molto

tentati dal cinema. Per ora si è limitato a collaborare attivamente per High Life, magari solo gli esperti se ne accorgeranno, ma c'è quasi da scommettere che un possibile sviluppo del suo lavoro non escluda tale direzione.

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