Così Norma Jeane divenne una "Dea"

Anthony Summers racconta le molte vite segrete di una star sempre in fuga

Così Norma Jeane divenne una "Dea"

Alla fine a Norma Jeane rimasero tre cose, il telefono, le pillole e psichiatri delle star con parcelle colossali. Marilyn, invece, aveva tutto, le bastava un sorriso, il timbro della voce per fare aprire moltissime porte. Ma Marilyn era un costrutto, un'icona eterna (ma l'eternità non è mai viva), uno strumento. Lo strumento che Norma Jeane aveva testardamente costruito per cercare di mettere le mani sul mondo. Per possederlo? No, non pare la questione sia mai stata quella. Perché il mondo la aiutasse a sfuggire a mostri nati durante un'infanzia infernale, perché il mondo, anche preso un uomo per volta, la aiutasse a saturare un vuoto interiore che ingoiava tutto? Molto più probabile.

Il mondo però nell'agosto del 1962 a Norma Jeane non rispondeva al telefono. O almeno non rispondeva Robert Kennedy che per lei in quel momento era il Mondo.

Ci furono altre telefonate tutte più o meno cariche di disperazione. Ma tutti quelli, che credevano di conoscere Marilyn e non conoscevano Norma Jeane (e come avrebbero potuto?), erano ormai abituati a quella disperazione via cavo. Non le diedero particolare peso. Forse intuì qualcosa Peter Lanford, cognato del presidente degli Stati Uniti d'America John Fitzgerald Kennedy e di suo fratello Robert. L'ultima chiamata di Marilyn la sera del 4 agosto era sconnessa e confusa. Accorse con Robert? Trovarono l'attrice in coma e piena di pillole? Tentarono un fallimentare salvataggio? Venne poi montata la versione ufficiale che tutti conosciamo per salvare l'immagine di Robert?

Probabilmente non lo sapremo mai, le versioni dei testimoni sui fatti di quella notte sono così discordanti che nemmeno l'ipotesi di sicari mafiosi che mandarono in overdose Marilyn per colpire Robert Kennedy può, per quanto molto improbabile, essere completamente esclusa.

L'unica certezza è che quando aprirono la porta della sua camera al 12305 di Fifth Helena Drive il mito di Marilyn si cristallizzò in quell'apoteosi tragica che l'ha centuplicato, salvato dalla vecchiaia della carne, mentre Norma Jeane è rimasta lì stesa in un letto di dolore, per sempre.

C'è moltissimo di questa scissione, di questa sciarada tra mito e realtà nella ponderosa e poderosa biografia di Anthony Summers, appena ripubblicata (e aggiornata) dalla Nave di Teseo: Dea. Le vite segrete di Marilyn Monroe (pagg. 630, euro 22).

Le pagine sulla morte di Marilyn sono molte e dense e ricche di testimonianze, ma la lunga indagine di Summers aiuta soprattutto a capire che il mistero dell'attrice è iniziato molto prima. Norma Jeane ha venduto una Marilyn diversa ad ognuno dei suoi molti, amanti (veri e falsi), amici (veri e falsi), produttori, registi, fan, stalker. Cresciuta attraverso un'infanzia infelice e disfunzionale, perseguitata dalla schizofrenia della madre, dal terrore della tabe di famiglia, di una pazzia ricorrente, ha iniziato presto a fondere realtà e immaginazione. A ritagliarsi un ruolo con spietata determinazione, a lottare per apparire, per avere un successo che potesse essere scambiato per amore.

Dalla fabbrica di aeroplani da cui uscì modella, dai divani dei produttori di Hollywood sino ai salotti colti dove stupiva padroneggiando libri e politica, ciascun testimone descrive una Marilyn diversa, sempre uguale solo per il disarmante fascino, per una divina forza di seduzione. Non importa se espressa balbettando o cantando «Happy Birthday Mr.

President», se fatta esplodere svestendosi o sfogliando un saggio.

Ogni Dea ha molti volti, li inventiamo noi e lei li riflette. Ma per essere una dea/Marilyn alla fine Norma Jeane ha smesso di esistere. Non sapremo mai se ne è valsa la pena.

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