Un dialogo avviene, un incontro si impone, ad Ascoli Piceno, ed è un dialogo di scultori e un dialogo nella scultura. È da molti anni attivo, sensibilissimo, uno scultore ad Ascoli Piceno, nato in quella città, che si chiama Giuliano Giuliani. Lavora il travertino, che ci fa pensare ai blocchi di pietra con cui si sono costruiti molti importanti edifici, soprattutto nell'Italia centrale. Sono blocchi di una materia che non è compatta ma quasi traforata. Il travertino ha una natura, una grana che lo rende vibrante e vivo e poroso, ma a quella leggerezza di superficie accompagna la potenza delle masse.
Ebbene, Giuliano Giuliani prende quella pietra e interviene con un processo di leggerezza, la rende come un'epidermide, la rende quasi trasparente, come l'alabastro attraversato dalla luce. Prende, sostanzialmente, l'anima del travertino, ne scolpisce lo spirito. È un procedimento che rende viva quella materia, che di per sé ha una componente grezza che ne è la natura più originale. L'idea di alleggerire quello che è pesante, di renderlo sottile come una lama, potremmo immaginarla come un modo per sbucciare la superficie. Giuliani riesce a prendere la pietra e a trarne delle lamine di grande leggerezza. È singolare, questo processo, perché nega un elemento fondamentale che è quello della dimensione plastica della scultura, della sua solidità, della sua presenza, e invece agisce in una dimensione infinitamente più leggera, quasi rendesse aeree le pietre che lui lavora, lievi come farfalle.
È un processo che ho visto maturare nel corso degli anni fino a togliere ogni elemento materiale al travertino per esaltarne la spiritualità luminosa. Le lamine di pietra si muovono seguendo una loro corporeità, come fossero busti, e attraverso il vuoto lo scultore insinua il senso della forma: in un dialogo tra quello che non c'è e quello che è contenuto in questi fogli di travertino. Giuliani crea delle pareti lievi e morbide, come una pelle. Chi guarda queste composizioni sente vibrare di vita la materia, come se avesse perduto la sua natura di pietra per diventare carne.
Queste opere in questa occasione vengono affiancate a tre importanti sculture antiche, e però moderne, nel senso che noi riteniamo e indichiamo come origine della scultura e della pittura moderne, ovvero la scultura di Giovanni Pisano e la pittura di Giotto. Si può ritenere che a un certo punto l'arte nel medioevo esca da una dimensione di ieraticità, di staticità, legata al modello del mondo bizantino, e riacquisti vita. Il primo momento in cui questa trasformazione si realizza è quello in cui alla metà del Duecento un grande, straordinario uomo in cui potere e pensiero convivono, che è Federico II, inventa uno stile che si incarna soprattutto in alcuni grandi monumenti imperiali come Castel Del Monte. Lo vediamo anche nel museo campano di Capua allestito da Theodor Mommsen: anche lì alcune teste federiciane ci indicano un recupero della maestà e insieme del realismo della scultura romana, la quale rinasce grazie a un nuovo imperatore, grande come gli antichi, che è appunto Federico II, il quale restituisce forza alla romanità e sostanzialmente fa nascere il Rinascimento. Il Rinascimento per noi è un fenomeno che si lega soprattutto al Quattrocento e al Cinquecento, i secoli d'oro dell'arte italiana, ma ha un antefatto nella scultura dei primi grandi moderni, che introducono la vita, l'azione. (...)
Le due teste femminili esposte sono state concepite come spioncini, luoghi da cui poter vedere fuori senza essere visti, per uno dei castelli imperiali di Foligno. Ne sono state identificate cinque o sei; due sono presenti in questa mostra ad Ascoli Piceno. In questa immagine, proveniente dalla collezione di Pico Cellini, abbiamo una figura quasi ridente. Lo sguardo sia pure vuoto, perché forato nella pietra sembra rendere espressiva la faccia che ci guarda; poi il capello con questa permanente di ricci ha una semplicità, una sintesi, una morbidezza delle forme che rendono il volto reale. Quando l'ho vista per la prima volta ho pensato addirittura che fosse una scultura moderna, novecentesca, come ripresa da un ritratto del Fayyum. Invece è il primo omaggio al mondo romano, al mondo classico, fatto nel medioevo intorno al 1250-60, nella torre di guardia del castello imperiale di Foligno.
Il secondo volto, di un'altra mano molto felice, è l'immagine di una figura regale, piena di pathos. L'autore è diverso, ma il periodo è lo stesso, come la provenienza. Quando la vidi pensai a un'opera del primo Quattrocento, mentre siamo a metà del Duecento. La bocca si apre come in un sospiro, una parola, qualcosa che sta iniziando. È l'inizio di un discorso. Gli occhi sono ancora più aperti, il volto ha la morbidezza della carne. Abbiamo due maestri che lavorano insieme, uno più espressionistico, più vivace, più allegro, più legato all'immediatezza delle cose; l'altro invece più solenne e statuario, nel senso di una monumentalità che richiama la scultura antica.
Possiamo dunque dire che la scultura italiana moderna comincia con queste immagini federiciane. La rinascita dell'antico inizia con Federico II e trova campioni di grande esemplarità in queste due sculture. Si sente la pelle, l'epidermide; ed è questo che intuisce Giuliano Giuliani attraverso le sue forme astratte, e cioè che qui la forma, la forza, è subordinata alla dimensione spirituale che questi volti esprimono.
Da questo punto di vista l'interpretazione di Giuliani ha colto che la pietra non è intesa per dare il senso di un potere o di una forza, ma è espressione di una dimensione psicologica, alterabile secondo le occasioni o le emozioni. È la capacità di far sentire l'immediatezza della vita, a caratterizzare questi due scultori.
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