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Così il soldato Jünger cantava la pace

Torna il breve saggio dello scrittore tedesco che voleva una nuova Europa

Junger da giovane in divisa da soldato
Junger da giovane in divisa da soldato

La fama di Ernst Jünger come scrittore si deve soprattutto alle sue gesta belliche vissute nelle Tempeste d'acciaio della Prima guerra mondiale e raccontate nel libro omonimo, classico bellicista spesso contrapposto al pacifista Niente di nuovo sul fronte occidentale di E.M. Remarque. Il pluridecorato autore di saggi tra i quali La battaglia come esperienza interiore e di opere a carattere autobiografico come Fuoco e sangue, nonché curatore di libri collettanei dedicati a Guerra e guerrieri, continuò a considerarsi un «soldato del fronte» anche a guerra finita. Scriveva infatti, ancora nel 1925, di ritenersi un «uomo che anche oggi vuole combattere perché il destino gli ha conferito l'abitudine al combattimento» e di sentirsi «parte di una comunità combattente intimamente stretta dalla comunanza di una grandiosa impresa storica».

Fa quindi un certo effetto leggere un suo scritto intitolato La Pace, appena ripubblicato da Mimesis a cura di Maurizio Guerri (pagg.96, euro 10). Si tratta di un breve saggio, concepito probabilmente nel 1941, quando l'Autore era a Parigi come ufficiale della Wehrmacht, rielaborato durante il 1943 e fatto circolare sotto forma di samizdat dopo la sconfitta tedesca a Jünger fu proibito dalle truppe di occupazione di pubblicare in Germania fino al 1949- per essere infine tradotto e stampato in Francia nel 1948 grazie a Banine e ad Armand Petitjean. Dedicato al «caro figlio Ernst Jünger, nato il 1° maggio 1926 e caduto il 29 novembre 1944 presso Carrara» questo manifesto è diviso in due parti: nella prima, intitolata La semina, vengono ricordate le innominabili sofferenze causate dalle due guerre mondiali, che per Jünger non sono che un'unica, grande guerra civile, mentre nella seconda, Il frutto, l'Autore si augura che questi sacrifici non siano vani, ma annuncino all'umanità un'era di pace universale. Detto questo, si illuderebbe chi immaginasse di poter inserire lo scrittore tedesco tra le schiere dei pacifisti arcobaleno: l'ammirazione per le virtù militari e per la figura del combattente non è affatto venuta meno; possiamo infatti leggere che «la guerra è la fucina dei popoli e dei cuori», indispensabile per uscire «dai travagli della nascita», affinché l'uomo conquisti una nuova forma. Forse un po' troppo ottimisticamente Jünger ritiene che la pace «incarnerà in pieno il senso del nostro tempo», e non importa a che prezzo tale obiettivo venga raggiunto: «è meglio combattere più a lungo, soffrire più a lungo piuttosto che fare ritorno al vecchio mondo. Che cadano pure le città se in esse non ci sono diritti e libertà, che crollino pure le cattedrali se al loro interno non è dato pregare».

La pace augurata da Jünger è, quindi, di carattere spirituale, e per questo motivo non si può basare né sul diritto, né sulla ragione e nemmeno sulla volontà ma soltanto su una giustizia superiore, amministrata da un'entità spirituale che in Europa non può che essere la Chiesa, che ha protetto milioni di vite non abbandonandole nemmeno nell'ora della morte.

È compito, però, di ogni singolo individuo adoperarsi per la giustizia e, quindi per la pace: «la vera lotta che ci troviamo a combattere si rivela sempre più un conflitto tra le forze della distruzione e le forze della vita. In questa lotta i guerrieri di retto sentire stanno fianco a fianco, come gli antichi cavalieri. Quando ciò accadrà, la pace sarà duratura».

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