Come addomesticare una volpe (e farla diventare un cane) di Lee Alan Dugatkin e Ljudmila Trut (Adelphi, pagg. 282, euro 24, traduzione di Valentina Marconi; in libreria da oggi) è la storia di due «scienziati visionari» - Dmitrij Beljaev e Ljudmila Trut - che, nella Siberia del secolo scorso, in pieno regime sovietico, tentarono un esperimento all'avanguardia: studiare l'evoluzione attraverso la domesticazione delle volpi rosse. Un esperimento riuscito: la prima volpe addomesticata, Pusinka («piccola palla di pelo»), Ljudmila se la portò a casa nel 1974. Come storia, scienza, politica e passione si intersechino in questa «fiaba siberiana», è Dugatkin, professore di Biologia all'Università di Louisville, a raccontarlo, con i suoi modi squisiti, in una conversazione via zoom dal Kentucky.
Professor Dugatkin, come è nato questo libro con Ljudmila Trut?
«La storia della domesticazione della volpe mi affascinava fin dai tempi del college. Così, nel 2010, ho scritto a Ljudmila, per sapere se le andasse di divulgare la storia al grande pubblico. Ci siamo scambiati centinaia email».
Poi vi siete incontrati?
«Sono andato nel 2012 a Novosibirsk, in gennaio, e sono rimasto a lungo con Ljudmila e molte delle persone coinvolte ed è lì che ho compreso il senso di questa storia: l'esperimento, i suoi inizi sotto Stalin, il freddo, le volpi stesse...»
Come sono le volpi?
«Ci sono dei video ma è difficile immaginare davvero quanto siano socievoli: sono come cagnolini di taglia media, bellissime e amichevoli, tanto che, dopo cinque minuti che le tieni in braccio, iniziano a leccarti la faccia. Il muso e il naso somigliano a quelli di un cane e anche la corporatura è meno snella di quella della volpe. Poi hanno le code arricciate e le orecchie flosce. E amano molto gli umani».
Dove vivono?
«In un allevamento a 40 minuti di macchina da Novosibirsk: vivono in una casa lunga, col tetto a triangolo, in cui le volpi addomesticate sono divise da quelle aggressive. Appena sentono arrivare gli umani, le prime si eccitano subito, perché adorano averli intorno; mentre se vai da quelle aggressive, beh, è un incubo, sono veramente tremende».
Chiariamo: si tratta di una vera trasformazione, che riguarda i geni.
«Sì. Attenzione, esse rimangono volpi, anche con le caratteristiche dei cani; ma i cambiamenti genetici che avvengono nelle volpi sono simili a quelli avvenuti nel cane».
Come è nato l'esperimento, all'inizio degli anni '50?
«Dmitrij Beljaev voleva capire come sia avvenuta l'evoluzione degli animali, dagli antenati selvaggi a quelli addomesticati di oggi: in particolare, gli interessava quella dal lupo al cane. Era una idea molto avanti per i tempi».
Su che cosa si basava?
«L'idea fondamentale era che i nostri antenati avessero scelto gli animali più amichevoli e docili, per poi utilizzarli per il cibo, i trasporti, la protezione, la compagnia. Ma erano, appunto, animali amichevoli, che non tentavano di ucciderci. Beljaev notò che, negli animali addomesticati, alcuni tratti fisici sono simili, come la forma della coda e delle orecchie, per esempio, o la riproduzione; e quindi pensò che, scegliendo l'animale più socievole, gli uomini selezionassero anche, indirettamente, certe caratteristiche genetiche».
E quindi?
«E quindi fece una previsione: se prendi delle volpi e scegli le più socievoli, dopo generazioni e generazioni saranno sempre più docili e, così facendo, avranno anche le caratteristiche fisiche degli animali addomesticati. E questo scegliendo solo in base al comportamento».
Aveva ragione?
«In sei generazioni, le volpi avevano già le orecchie flosce; dopo 15 anni le code arricciate, e avevano iniziato a riprodursi di più. Come previsto, anche se molto più rapidamente di quanto si immaginasse».
C'è anche un aspetto politico.
«Beljaev concepì il progetto nei primi anni '50, sotto Stalin; poi l'esperimento iniziò nel '59-'60, ma all'epoca Trofim Lysenko era ancora molto potente».
La mente «scientifica» - si fa per dire - di Stalin.
«Dalla fine degli anni '40, Lysenko sostenne che la genetica fosse sbagliata e ideologicamente opposta alla filosofia sovietica: convinse Stalin che tutta la genetica occidentale fosse un tentativo di sabotaggio... A Stalin Lysenko piaceva, e ne fece la persona più potente della scienza sovietica».
Con quale risultato?
«Lysenko denunciò tutti i genetisti venuti dall'Occidente e spinse gli scienziati russi a rinnegare la genetica, o a licenziarsi. In migliaia persero il lavoro o finirono in prigione o, se considerati ancora un problema, furono uccisi: quest'ultimo destino toccò ad almeno 20-25 scienziati, fra cui il fratello maggiore di Beljaev».
Quindi sapeva bene che rischi corresse.
«Sì. E, quando scelse Ljudmila per condurre l'esperimento, entrambi sapevano quello che stavano facendo, che il loro era un esperimento di genetica classica, e che sarebbero potuti finire nei guai».
Come riuscirono a nasconderlo?
«Dopo il '65 Lysenko perse potere, ma fino ad allora furono molto attenti. Due cose aiutarono. Primo, la lontananza della Siberia da Mosca. Poi fu cruciale proprio l'utilizzo delle volpi, anziché dei lupi. L'esportazione di pellicce di volpe verso l'Occidente era una grande fonte di guadagno per l'Urss, e Beljaev capì che sarebbe stata una scusa per nascondere ciò che l'esperimento era davvero: poteva sostenere che servisse a produrre pellicce migliori...».
Nessuno sospettò?
«A un certo punto Kruscev visitò il villaggio accademico di Novosibirsk e quasi chiuse tutto, perché costava troppo e anche lui si fidava di Lysenko. Ljudmila aveva 27 anni e ricorda bene quel momento. Fu la figlia di Kruscev a convincerlo che Lysenko era pericoloso, così alla fine fu licenziato solo il direttore dell'istituto, e a capo di tutto finì, paradossalmente, proprio Beljaev...»
Altri momenti difficili?
«Con la fine dell'Urss e la crisi di fine anni '90 l'istituto ha vissuto gravi problemi economici: anche solo mantenere 6-700 animali è difficile, infatti ora il numero è stato ridotto. Però gli studiosi non si sono mai fermati, anche se a volte bloccavano le persone per strada per chiedere i soldi...».
Ljudmila lavora ancora?
«Sì, ha 88 anni, ma ancora organizza collaborazioni, controlla i risultati, parla coi colleghi. L'esperimento dura da 62 anni: in pratica, 60 generazioni di animali. È strabiliante».
Che cosa è più importante di questo esperimento?
«Innanzitutto, è un grande progresso per comprendere la domesticazione, una trasformazione che è stata cruciale nella nostra storia, anche se spesso lo dimentichiamo. E poi quanto velocemente sia avvenuta, perché 60 anni, in termini biologici, sono nulla: è come se l'evoluzione avesse accelerato. Infine, le persone coinvolte in questo esperimento».
Coraggiose?
«Incredibili, certamente per il coraggio, all'inizio: sarebbero potute finire in prigione. E poi così devote. Ljudmila ha dedicato tutta la sua vita a questo esperimento e, con lei, è stato coinvolto un ampio gruppo di scienziati e anche di persone comuni, quelle che si occupano delle volpi ogni giorno, nutrendole, pulendole, curandole, controllandole... Di solito donne dei villaggi vicini, che non sapevano nulla di genetica molecolare, ma capivano che era qualcosa di importante ed erano orgogliose di esserne parte. Una parte importantissima, perché l'esperimento non si sarebbe potuto realizzare senza di loro».
Allora è davvero una fiaba siberiana, come dice il sottotitolo?
«Sì, è proprio una fiaba, una storia d'amore».
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