Salman Rushdie è stato accoltellato da un terrorista islamico che voleva realizzare la fatwa scagliata da Khomeini contro lo scrittore nel 1989. Per fortuna, Rushdie si è salvato e il colpevole è stato arrestato. Gli scrittori di tutto il mondo fanno a gara per testimoniare la propria vicinanza alla vittima. Benissimo. Però ci sembra che manchi qualcosa. Nessuno infatti sembra chiedersi come mai proprio nel 2022 trovi compimento la maledizione dell'ayatollah iraniano. Improbabile che sia un caso. Possibile che la sorveglianza, dopo tanti anni, avesse qualche smagliatura. Il che non risponde comunque alla domanda: perché proprio adesso?
Il New York Times di domenica azzarda una risposta che pare purtroppo convincente. L'attentato arriva in una stagione nella quale la censura, a tutti i livelli, ha ripreso fiato. Le università, invece di diffondere sapere, fanno a gara nello sbianchettare i classici. Troppo bianchi. Troppo patriarcali. Troppo maschilisti. Troppo colonialisti. Poco inclusivi. Sboccati. Sessualmente tossici. Addirittura troppo emozionanti, si sa mai che un ventenne rimanga scioccato dalla tragedia greca. In quanto alle minoranze, siamo diventati così rispettosi di qualunque rivendicazione, anche la più folle, da incentivare le richieste più assurde: via la statua di Cristoforo Colombo, via la statua di Thomas Jefferson, via la statua di Abramo Lincoln. Su Maometto (e su altri mille argomenti) non si scherza. Ecco che all'improvviso far fuori uno scrittore politicamente scorretto e «blasfemo» secondo gli standard di Khomeini sembra una buona idea a tutti i fanatici del mondo. Del resto, i terroristi islamici non erano entrati a mitra spianati nella redazione di Charlie Hebdo, rivista «blasfema» secondo gli standard degli imam europei e non solo? Difendere la libertà di Rushdie e schierarsi dalla sua parte è cosa buona e giusta ma anche scontata. La solidarietà va tirata fuori soprattutto quando costa qualcosa, quando c'è da difendere la libertà di un impresentabile o di un «avversario» ideologico. Per questo ben vengano le articolesse degli scrittori: 6500 battute in difesa della libertà d'espressione di Salman Rushdie sono praticamente un diritto umano per un editorialista specie se romanziere o poeta. Non siamo così cattivi da non capirlo e da scoraggiare chi volesse cimentarsi nella impresa. Però ci domandiamo: a cosa serve se non a farsi belli?
Quando i Versi satanici furono scomunicati, e Rushdie minacciato di morte, non furono pochi gli scrittori che si sentirono offesi dal fatto che il collega avesse offeso il buongusto degli ayatollah.
Lo ricorda benissimo proprio Salman Rushdie nella sua spettacolare autobiografia Joseph Anton. Non pochi se la presero con lui ed erano tutti autori di primissimo piano. Già, ma allora prevaleva il desiderio di rispettare tutte le religioni. Anche se condannano a morte uno scrittore. Cerchiamo di ricordarcelo.
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