Che rapporto ebbe Alfred Hitchcock con la scrittura? Come decise di raccontare il suo lavoro e le sue emozioni pubblicamente? A queste domande risponde una raccolta di testi di varia estrazione che lo studioso Sidney Gotlieb ha raccolto nel volume Io, Hitchcock. Il maestro del brivido si racconta (Donzelli). Come spiega Gotlieb gli scritti editi nel tempo da Hitchcock sono «vari e corposi... articoli pubblicitari, cartelle-stampa pubblicati dalle case di produzione ma anche dichiarazioni, interviste, storie, brevi racconti umoristici, discorsi, introduzioni a libri, ricordi autobiografici e saggi critici...».
Poter leggere quegli scritti fornisce sicuramente un'immagine più completa di quello che sono stati i progetti realizzati dal regista inglese e di quali fossero le sue idee specifiche sul cinema, la narrazione, la suspense. «Hitchcock era un personaggio sarcastico - spiega Gotlieb - brillante e, se diamo al termine una particolare accezione, decisamente colto. Egli ha sempre sostenuto che il cinema doveva affidarsi più alle immagini che al dialogo... ma si è dimostrato al contempo estremamente loquace e ha utilizzato e apprezzato la parola scritta e parlata». È naturale che l'analisi dei materiali raccolti in Io, Hitchcock possa portare a chiedersi quali di questi testi possono realisticamente essere attribuiti esclusivamente al regista e quali invece sono stati redatti per lui dai suoi fidi collaboratori: «Nonostante vi siano prove che molto materiale venne scritto per Hitchcock, compresi gli importanti e noti contributi di James B. Allardice a partire dalla metà degli anni Cinquanta, non dobbiamo sottovalutare l'apporto di Hitchcock. Egli ebbe indubbiamente un ruolo importante nella scelta degli argomenti, degli aneddoti e dei racconti, e lo stile, l'arguzia e l'ironia in larga parte sono quelli che gli appartengono. Che queste qualità siano di Hitchcock e non il prodotto di manovalanza e addetti pubblicitari è dimostrato, se non confermato, dalla pubblicazione di brani che rappresentano la trascrizione corretta di alcuni suoi incontri con la produzione, di interviste e discorsi».
Sin dal 1930 Alfred Hitchcock aveva costituito una piccola società, la «Hitchcock Baker Productions, Limited», il cui unico scopo era quello di far conoscere alla stampa la sua figura di produttore e regista ed è provato che non improvvisò mai nessuna sua apparizione pubblica né intervista ma fece in modo che i testi che lo riguardavano avessero sempre il suo speciale marchio di fabbrica. Così leggendo Io, Hitchcock lo sentiamo affrontare temi singolari e specifici: «Come scelgo le mie eroine», «Le star sono necessarie?», «Le donne sono una seccatura», «Il delitto non paga», «L'eleganza è più importante del sesso», «Se fossi a capo di una casa di produzione», «Il mio film più eccitante», «Il nucleo del film: l'inseguimento», «Il mio personaggio preferito... sono io!».
È interessante analizzare lo sbobinamento integrale di una delle lunghissime chiacchierate registrare fra Hitchcock e François Truffaut, ma anche leggere la trascrizione di alcuni suoi momenti sul set de Gli uccelli mentre discute con Ed McBain. Hitchcock riesce ogni volta ad essere preciso e allo stesso tempo divertente in quello che racconta. Quando nel 1936 gli chiedono di spiegare «perché i thriller hanno successo» teorizza: «Perché andiamo al cinema? Per vedere la vita riflessa sullo schermo, certo, ma che tipo di vita? Naturalmente, non il tipo di vita che viviamo tutti i giorni, oppure la stessa vita ma con una differenza; la differenza consiste in sconvolgimenti emotivi che chiamiamo, per convenienza, “brividi”. La nostra natura è tale che dobbiamo subire tali “scuotimenti” per non diventare inattivi e simili a molluschi; ma, d'altra parte, la civiltà ci ha protetti e riparati in modo tale che è molto difficile vivere questi brividi in prima persona. Perciò dobbiamo viverli in modo artificiale e il cinema rappresenta il miglior mezzo per questo scopo...».
Nel corsivo «Perché ho paura del buio?» apparso su Picturegoer nel 1960, dovendo spiegare se esista un rapporto di affinità emozionale che lo leghi ad Edgar Allan Poe, Alfred Hitchcock prima fa una disamina delle rispettive opere e della rispettiva metodologia di lavoro, poi definisce lo scrittore americano come un «poète maudit!» e se stesso come «un regista commerciale», quindi dovendo spiegare cosa li accomuni e cosa li distingua nello specifico afferma: «A lui piaceva far rabbrividire le persone e anche a me. Ma lui non aveva un vero senso dell'umorismo, e per me la suspense non ha alcun valore se non è compensata dall'umorismo». Lo humour mescolato alla suspense è una costante anche nei racconti ( Gas , La parte della donna , Indegno , Niente arcobaleno . Cosa è chi? , Resoconto storico su come mangiare i piselli , Fedora ) pubblicati originariamente sulle pagine di The Henley: Social Club Magazine of the Henley Company , fra il 1919 e il 1921. all'epoca in cui Hitch lavorava presso la Henley Telegraph and Cable Company.
Qui per 15 scellini alla settimana aveva iniziato a occuparsi del calcolo della misura e del voltaggio dei cavi elettrici che dovevano essere impiantati dalla ditta. E, mentre si applicava ai corsi serali di storia dell'arte e di disegno, il giovane Alfred metteva alla prova il suo talento scrivendo testi del brivido per la rivista aziendale...
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