"Una donna" ci fa riscoprire Sophie Marceau a metà tra sentimento e voglia di vendetta

Al Festival di Locarno l'attrice (sempre sensuale) presenta il suo ultimo film

"Una donna" ci fa riscoprire Sophie Marceau a metà tra sentimento e voglia di vendetta

Juliane è una donna al confine. Danza tra un tempo e un altro. La polizia e la scrittura. La vita sognata e quella trovata. Il titolo del film che ieri sera ha inondato di suspense la Piazza Grande di Locarno - Una donna dei nostri tempi, nella versione originale che l'edizione per l'Italia ribattezzerà semplicemente Una donna - è una discrasia temporale. Una moglie di oggi che si scopre tradita da un marito con sentimenti sinceri ma incapace di fedeltà non si vendicherebbe tirando frecce al fedifrago.

Arco e saette appartengono a una dimensione mitica e arcaica e la donna, interpretata da una Sophie Marceau di avvenente semplicità, diventa un archetipo. Uccide il cattivo di turno e infilza il consorte doppiogiochista. Si consegna alla sofferenza di un adulterio vissuto in diretta dalla parte della vittima senza l'agire infocato di chiunque al suo posto. Juliane - Marceau è tutto e nulla, amazzone senza destriero e creatura ferita. Usa le saette per lacerare le carni del nemico che ha invisibilmente fatto a brandelli le sue. Smembrandone il cuore, organo nascosto ma vitale.

L'amore controverso che si ferma alla teoria e non trova riscontri nella pratica è lo stacco e la svolta di Sophie in carne e ossa che abbandona i panni di Juliane e veste quelli di una donna nuovamente innamorata, stavolta di Richard Caillat, di mestiere produttore. La fidanzatina di Pierre Cosso nel Tempo delle mele 2 sembra aver trovato un baricentro affettivo che nulla assomiglia a quello del film. Gli anni bui non hanno fatto rima solo con pandemia.

Il lockdown ha cancellato la vita ma ha lasciato il dolore. E il lavoro ha completato il demoniaco piano di un destino beffardo. Impossibile metabolizzare la sconfitta. Sophie Marceau produttrice era costretta a trascinarsi in un cuore inaridito l'ombra di un progetto sbagliato. O forse, semplicemente, piaciuto a lei ma non al pubblico. La scomparsa di Deauville è rimasta al di sotto di un budget decisamente più alto. Poi sono arrivati altri set. Altre promesse. La prima volta sul lago Maggiore. «Non sono mai stata a Locarno. La Svizzera? Orologi a cucù e cioccolata ma la piazza mi ha emozionata». Altre passerelle di Cannes dove, un anno fa, ha toccato uno dei temi più delicati - l'eutanasia - guidata dalla mano ferma e saggia di Francois Ozon. È l'argomento di attualità ricorrente, respingente come la dimensione della morte cui si collega. In Italia è passato in punta di piedi. Eppure aveva il tono leggero di chi sapeva parlare di un dramma senza calcare la mano. Anzi.

Faceva spuntare un sorriso. Timido ma spontaneo. Dalla realtà della morte che è un momento della vita alla vita che gioca con la morte. Come l'ultima creatura. Juliane. Arciera dell'impossibile nella società delle pallottole.

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