"Una donna promettente", estetica pop e contenuti tanto disturbanti quanto necessari

Film drammatico travestito da dark comedy e revenge movie, in cui l’intrattenimento si mischia al messaggio sociale e in cui una femminilità violata dà l’impulso a una vendetta a scopo rieducativo

"Una donna promettente", estetica pop e contenuti tanto disturbanti quanto necessari

Una donna promettente è un’originale opera prima che, dopo il debutto al Sundance Film Festival e ben cinque nomination agli Oscar, arriva finalmente nelle nostre sale cinematografiche.

A prima vista quello scritto e diretto da Emerald Fennel, vincitrice dell'Oscar per la migliore sceneggiatura originale, potrebbe definirsi un revenge movie ma, considerato il modo in cui mischia anche thriller, dramma e black-comedy, ogni categoria diventa riduttiva.

“Una donna promettente” ha per protagonista Cassie (Carey Muligan), giovane donna alla soglia dei trent’anni che, dopo aver abbandonato gli studi di medicina, vive ancora con i genitori e lavora come barista. Ha però una doppia vita: tutti i sabati sera va in un locale, si finge ubriaca e trova un “bravo ragazzo” che si offre di darle un passaggio a casa. Ogni volta, però, il cavaliere di turno cerca in realtà di approfittare dello stato semi-cosciente di lei. Quello è il momento in cui Cassie svela di essere sobria e terrorizza chi avrebbe provato, di lì a poco, a farle violenza. Tale rituale condotta è una reazione della ragazza ad un trauma passato e non basta l’incontro casuale con Ryan, ex compagno del college dai modi gentili, a farle fare pace con gli uomini. Anzi, qualcosa torna a galla e la resa dei conti con chi, a suo tempo, le distrusse la vita sembra avvicinarsi.

Intelligente e catartico, il film “Una donna promettente” ha un’estetica che depista volutamente, dando all’insieme una leggerezza che è solo apparente. Il sapiente gioco dei contrasti si avvale anche dell’uso dissonante della colonna sonora e il risultato è un’opera che parla di sofferenza e vendetta in maniera eccentrica. La stessa protagonista ha l’ambiguità carismatica e grottesca di un’Alice nel Paese delle Meraviglie trasformatasi in una Harley Queen malinconica (del resto la casa di produzione è quella fondata da Margot Robbie).

Si sorride talvolta, ma molto amaro, vedendo “Una donna promettente”, perché la natura umana nel film appare tanto familiare quanto a un passo da comportamenti aberranti. Con audace provocazione la regista racconta, a colpi di tinte pastello e musica pop, quello che è un sistema predatorio che viene tollerato troppo spesso nella società. Esistono infatti molestie sessuali che vengono incasellate come sgraziate goliardate, perché vedono protagonisti ragazzi perbene e allegria alcolica. La narrazione mette a nudo come, nella percezione moderna, ci siano stupri di serie b, derubricati a “divertimento” e di cui la vittima è ritenuta complice, essendosi resa vulnerabile (il famigerato e immarcescibile “se l’è cercata”).

Riaversi da uno stato di inconsapevolezza come può essere quello dettato dall’alcool non significa vedere rimarginate le ferite inferte in quel lasso di tempo. Anzi, le conseguenze si protraggono e vengono vissute in totale solitudine perché ne è messa in discussione, dalla comunità, la stessa natura dolente. Si può scegliere in tanti modi, quasi tutti autodistruttivi, di spurgare una colpa non nostra ma di cui si è additati come corresponsabili: c’è chi, come Cassie, sceglie di condurre una vita al di sotto delle sue reali potenzialità e chi con l’esistenza non riesce più a fare pace, come la sua amica finita suicida.

Quello di sminuire la portata criminale di un gesto quando a compierlo è il classico bravo ragazzo con futuro radioso davanti, è un costume tristemente in auge. Il messaggio del film quindi è crudo e attuale: non basta essere in gamba per evitare di imbattersi in abusi sulla propria strada, perché sono molto più vicini e tollerati dal sistema di quanto pensiamo.

“Una donna promettente” disturba a dovere, smuovendo riflessioni necessarie e sensibilizzando, quando non addirittura rieducando, lo spettatore. Perché troppo spesso viene ignorata un’evidenza lapalissiana: l’impossibilità di assenso lucido equivale a diniego, perché qualsiasi forma di intimità con una persona in stato alterato di coscienza è un atto illecito.

Il film non si limita a puntare il dito contro gli uomini in stile #metoo, del resto denuncia come a mancare di solidarietà nei confronti di una donna violata siano anche

esponenti del suo stesso sesso; mette piuttosto in scena con sacrosanto e sarcastico livore qualcosa di più sottilmente angosciante: la responsabilità istituzionale e collettiva in materia di violenza di genere.

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