E ridi. Di cuore. Come non ti accadeva da tempo. Perché loro ti sollecitano a ritmo incessante. Brevi sketch esilaranti, pregni dell'amara autoironia tutta mediterranea. L'idea è perfetta. Un Festival della risata, dedicato alle facce di bronzo veramente pronte all'autocritica e alla denuncia. Nulla sfugge all'occhio malandrino di questi comici fatti a mano, veri artigiani dell'ironia all'italiana: ragazzi di provincia che non perdonano. La regola è: chi sbaglia, paga. La pena è la gogna del cabaret. L'elenco delle vittime è lunghissimo: la moglie depressa, il padre «rompi», la madre invadente, gli amici (in)fidi E l'antica arte della satira celebra se stessa grazie alla spietatezza della Parola. Perché l'anima e l'arma di Facce da Bronzi è la parola. Affinata, sezionata, addobbata, utilizzata in tutti i suoi significati, ne stabilisce tempi e modi, e circostanze da raccontare. Arrivano da tutta l'Italia, quella sconosciuta, la più estesa. Dalla valle alpina dal sapore di cioccolato svizzero, alle coste sicule dirimpetto all'Africa.
E mischiano gli stili e le voglie di ridere e far ridere. Le lunghe pause cariche di sguardi strafottenti dei ragazzi dello Stretto e le rapidità di scilinguagnolo dei toscani irrefrenabili. I bizantinismi perfidi della comicità pugliese e le arguzie goviane dei nuovi comici liguri. Gli affondi sociali dei figli disoccupati degli emigrati al Nord e l'arrendevole fatalismo di chi non ha mai voluto partire. Quadri, anzi, fotografie impietose di spaccati familiari, sociali, senza via d'uscita, se non quella della risata terapeutica e liberatoria.
Lavoro duro per i giurati, trovare i finalisti. Duro sarà scegliere il vincitore. Perché il pubblico ride con tutti e si riconosce in ognuno.
Gli applausi vanno a grappoli, e, sul finire di serata, a cataste. Un'Italia disillusa e sofferente, ferita eppur speranzosa, applaude e rende omaggio a chi «la tira su» nonostante l'IMU e le rogne da tribunale. E gli artisti artigiani, autori di se stessi, ringraziano.
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