Siamo sul crinale di un'epoca. Il mondo occidentale che si è caratterizzato sui temi della libertà e della democrazia sembra sprofondare nel suo opposto, nel delirio del pensiero unico, della cancel culture e di un conformismo diffuso. Come ha scritto Saul Bellow, la nostra civiltà è ormai poco più di un prodotto da esportazione come il vino e il formaggio. Resettiamo il passato per costruire valori dal nulla con il solito imperativo categorico della missione civilizzatrice.
Una corruzione che parte da lontano. Abbozzata negli anni Sessanta, quasi come divertissement per quelle classi agiate newyorchesi di cui raccontò le ossessioni Tom Wolfe, ora dilaga in ogni contesto sociale e geografico. Per lungo tempo reputata come una naturale evoluzione, adesso ci appare come il crocevia della Storia. Questi mutamenti rappresentano infatti un completo stravolgimento che rischia di far deragliare ogni cosa in una deriva ideologica senza pari. Non sono più una logica evoluzione del progresso perché operano con una intensità tellurica sulla intera realtà, ridisegnano i rapporti di forza nel mondo globale e soprattutto marchiano a fondo nuovi valori e principi. Ecco il motivo per il quale, pur essendo una traiettoria che viene da lontano, riusciamo a leggerla solo ora nella sua integralità.
I tornanti, la nuova collana edita da Giubilei Regnani e curata da Andrea Indini, si occupa di leggere in profondità questo stravolgimento epocale. Una serie di volumi con cadenza bimestrale grazie ai quali i temi più disparati come la ideologia putiniana, i concetti di impero e di neo-imperialismo, le Big tech, la cultura progressista del postmoderno, la questione di Israele, vengono liberati dal giogo del pensiero unico e finalmente spogliati da ogni sovrastruttura ideologica.
Il volume inaugurale, quello di Andrea Bellotto (Il tramonto del sogno americano, pagg. 200, euro 16) si inerpica in un lungo e tortuoso cammino nel cuore degli Usa, incrociando anche il cinema, la musica e la letteratura. Gli Stati Uniti da più di mezzo secolo rappresentano infatti l'immaginario simbolico globale. Eppure, si trovano a dover far fronte ad un conformismo culturale che spesso sconfina nell'omologazione assoluta, nello spregio e nella repressione di posizioni differenti. Anche questioni terribilmente serie come il razzismo paiono diluite o addirittura mutate di significato in certe proteste del Black Lives Matter. Al pari del mito della frontiera che pareva essersi inverato nelle Big tech e nella new economy e che mostra tratti di sovvertimento degli antichi equilibri quando tenta di mutare i rapporti di forza tra privato e pubblico.
Il mito fondativo della «Nation Under God» rimane per l'appunto, un mito. La Terra delle opportunità, che era stata anche terra delle divisioni (centralisti contro federalisti, Nord industriale contro Sud schiavista, pionieri contro nativi, bianchi contro neri nelle città del secondo dopoguerra), riusciva sempre a far confluire ogni punto di vista in un quadro generale di principi capace di regolare e conciliare le contrapposizioni.
Bellotto parla giustamente di tramonto perché i motivi delle attuali fratture corrono lungo crinali che oramai intersecano famiglie e comunità e non più solo collocazioni geografiche o
politiche. Ed è evidente che sotto la superficie che impegna i nostri quotidiani dibattiti si sta muovendo qualcosa di profondo e di ansiogeno, forse una faglia che non riesce a tenere più tutto insieme. E non solo in America.
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