Emilio Praga, la critica elevata a forma d'arte

Fu poeta, romanziere e pittore "scapigliato". E polemista che seppe cogliere le nuove tendenze artistiche del tempo

Emilio Praga, la critica elevata a forma d'arte

«E ho già sentito aria di rivoluzione», diceva un verso di una celebre canzone di Franco Battiato. Ogni stagione ha, o crede di fare, le sue di rivoluzioni. Nel campo dell'arte, la questione è comprendere quanto a quell'idea di rivoluzione, di novità, di strappo col passato o con la tradizione, corrisponda davvero qualcosa di nuovo in chi si batte per annunciarla con ogni mezzo. Mi viene in mente subito Roger Fry, critico d'arte e pittore lui stesso, sodale di scrittori come E.M. Forster e Virginia Woolf, che nel 1910 portò in mostra a una Londra, ancora pervasa di gusto vittoriano, i maggiori artisti contemporanei Paul Cézanne, Vincent van Gogh, Paul Gauguin facendoli conoscere a un pubblico paludato sotto l'appellativo di «postimpressionisti». Quella mostra, salvo scatenare infinite polemiche, davvero contribuì a costruire una nuova visione che si allontanava finalmente dalle strettoie dell'oggettività.

Qualche decennio prima, in Italia, ci aveva provato qualcun'altro a lanciare la bomba contro l'oggettività, opponendosi a un gusto di stampo storico o neoclassico, a favore di una visione che vedeva soprattutto nel paesaggio una possibilità inedita di espressione; un paesaggio che mettesse in campo più l'impressione di una realtà, attraverso un filtro soggettivo, e che restituisse, dal vero, l'emotività causata da ciò che si osservava. Ma a leggere le poesie, o a osservare i quadri di Emilio Praga (1839-1875), tra i maggiori animatori della corrente degli «scapigliati», si ha come la percezione che di rivoluzionario ci sia poco, o che quella rivoluzione tanto agognata che guardava a Baudelaire e a Delacroix come a fari la si sia realmente individuata senza mai davvero saperla cavalcare. L'amico Filippo Filippi, critico e compositore, scrisse che «Emilio Praga è, più che pittore, poeta: e un senso di poesia intima si scorge nei suoi piccoli schizzi, nei quali è appena accennata una spiaggia, una distesa di mare, un raggio di sole che entra in un pergolato, e alcune macchiette dipinte con garbo. Ma sono ninnoli codesti che non valgono una strofa delle sue Memorie del Presbiterio». A me verrebbe da ribattere che «ninnoli» non sono solo le sue pitture ma pure i suoi versi, se li si paragona alle sue pagine critiche. Emilio Praga fu soprattutto un teorico, un critico appunto, e un polemista, pure se soltanto oggi arrivano in libreria, per la prima volta raccolti in volume, tutti i suoi articoli dedicati all'arte finora dispersi su periodici ormai quasi introvabili: Di sala in sala. Cronache d'arte (1864-1871) (Aragno, pagg. 700, euro 35, con una prefazione di Ermanno Paccagnini, che di Praga si è occupato in diverse occasioni) per la cura intelligente e profonda di Daniela Tonolini, che ha consultato più di 200 giornali e opuscoli italiani e stranieri, tutti i cataloghi braidensi e milanesi, come di altre esposizioni nazionali e internazionali.

La critica di Praga aveva due principi fondamentali, quelle che lui chiama «verità», ovvero che il solo «maestro» è «il sentimento individuale e che l'esempio per eccellenza sarà eternamente la natura». Sostanzialmente tutto, per Praga, è interpretazione: «Guai se passando la soglia dell'esposizione in caccia della natura quale voi la vedete e sentite, non siete disposti a cercarla, a riconoscerla sotto i mille travestimenti in cui l'ha foggiata l'interpretazione degli altri». È con questa convinzione, una convinzione che equivale a una rigida fedeltà a se stessi, che egli scrive i suoi articoli, non temendo di scagliarsi contro il pubblico, o una critica accademica poco disposta a osservare qualcosa di diverso dai dati già acquisiti. «Non farebbe opera buona la critica se invece di ripetere in tono minore il non c'è niente del pubblico, si ponesse seriamente, largamente a cercar qualche cosa, a studiare, a indovinare, se occorre, gli artisti, per diventare l'araldo ad un tempo e la guida?».

«L'araldo e la guida». Con questi due termini si comprende pure cosa stia davvero a cuore a Emilio Praga e, di più, rendono esplicito un metodo.

Quello che a Praga interessa davvero non è proporre acriticamente una novità, limitarsi a denunciare lo stagno in cui l'arte e i suoi adepti sono affogati senza rendersene conto, ma trovare anche i difetti nel nuovo, proporre suggerimenti, individuare l'errore (di tecnica e visione), e questo perché era egli stesso pittore. Di fatto, ciò che emerge da queste pagine accalorate, intelligenti, vivissime, è che la stessa critica, in Emilio Praga, era una forma d'arte.

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