In quel racconto capolavoro di Gianni Celati contenuto in Quattro novelle sulle apparenze (1987) che s'intitola «Condizione di luce sulla via Emilia» si legge: «In certe giornate limpide, salendo sulla montagna e guardando verso la lunga strada, si vede una fascia bluastra o perlacea secondo le stagioni, sospesa sulla pianura quasi in permanenza. Quella è la nube entro cui si vive da queste parti, una nube dove ogni luminosità si disperde in miriadi di riflessi». La stessa nube - fotografata da Luigi Ghirri - la si può ritrovare sulla copertina di Pianura (Einaudi, pagg. 278, 19,50 euro), una divagante ricognizione geo-metafisica di Marco Belpoliti su quel che è e non è la Pianura Padana. Mentre nel racconto di Celati la fabulazione sta tutta negli elementi che vengono osservati, in questa descrizione la natura viene riposizionata sullo sfondo (senza per questo cessare di essere la coprotagonista indiscussa). La Pianura di Belpoliti è popolata di tantissimi personaggi, e diventa quindi il teatro per altrettante ricognizioni sull'umano, alla maniera di Emil Cioran quando compone i suoi Esercizi di ammirazione. In parole povere: poco Google Maps, molto moralismo francese. Così, dopo l'apertura a volo d'uccello che ci restituisce la centuriazione romana del territorio - un vero piano regolatore ante litteram, in cui sul mondo cala una griglia suddivisa in quadrati di cinquanta ettari ciascuno -, dopo aver ridotto ai minimi termini il luogo e averlo fatto diventare un'immagine speculare al cielo, dopo questa simbolica tabula rasa che fa di Romolo il fondatore della Pianura, ecco che subito si parte a rinfoltire, a ricostruire, a ripopolare, come se fossimo dentro un videogioco stile Minecraft.
Belpoliti ci porta subito a Roncocesi, paese d'origine del già citato Luigi Ghirri, e vede la sua casa rimpicciolita, perché tutti i luoghi che frequentiamo da bambini ci appaiano giganteschi. Luigi Ghirri (Scandiano, 1943 - Reggio Emilia, 1992), ora da tutti ritenuto non solo un grande fotografo, ma il fotografo, l'archetipo cioè del fotografo perfetto, in realtà non aveva mai seguito un corso di fotografia in vita sua, e non era neanche laureato. Era diventato fotografo, racconta Belpoliti, casualmente, e la sua formazione era quella dell'autodidatta, con una comunissima macchinetta Bencini in mano. Attorno alla metà degli anni Sessanta le città hanno cominciato a strabordare fuori dalle loro mura, ridefinendo il paesaggio selvaggio della via Emilia come un conglomerato di tristezze suburbane: è lì che Ghirri scatta con implacabile rigore, cominciando a divenire ciò che oggi è. Che sia una edicola immersa nella nebbia, o un'altalena in riva a una spiaggia desolata, che sia la facciata di una chiesa col piazzale innevato o un semaforo sospeso in aria davanti a una casa signorile, Ghirri non ritrae mai la realtà, ma ce la fa immaginare. Di più, ci fa provare nostalgia per l'attimo prima dello scatto, per la cosa prima che diventasse tale, com'è adesso, come la stiamo vedendo. È uno dei grandi tratti della Pianura, il magon, cioè il magone in dialetto reggiano, quello stato d'animo che precede tutti i più comuni sentimenti, quel senso d'oppressione che ti prende alla bocca dello stomaco e ti fa provare una sorta di sospensione, più grave della noia e meno drammatica della depressione. Col magone ci si può convivere anche quotidianamente, senza raggiungere logoramenti invalidanti, e nessuno lo sapeva meglio di Pier Vittorio Tondelli, detto Vicky, che a Correggio fece esperienza dei nebbioni della Pianura, e poi ancora giovanissimo arrivò a pubblicare per Feltrinelli Altri libertini (1980) scegliendo un narratore collettivo, avendo la faccia tosta di dire non già io ma noi, scontro tellurico tra generazioni ma anche rivendicazione del sentimento malinconico degli emiliani: « ... maledetto inverno, davvero maledette notti alla stazione, chiacchiere e giochi di carte e il bicchiere colmo davanti, gli amici scoppiati pensano si sciolga così dicembre, basta una bottiglia sempre piena, finché dura il fumo». D'altronde l'aveva saputo sintetizzare alla perfezione Antonio Delfini, irregolare modenese, dando del carattere emiliano la seguente definizione: «Puerile, strapaesano, ribelle. Cesare Garboli, raggiunto da Belpoliti nel suo buen retiro versiliese, racconta di uno scrittore che si pente nel momento stesso in cui si mette a scrivere, uno scrittore che sabota il suo talento, che è irresistibile proprio perché scrive emozionato, si smentisce, non sa tenersi testa. Torna la superficie della Pianura oltre la quale non ci sarebbe niente, soltanto uno sfavillante tremolio, che non serve a stabilire alcunché. E insomma per Belpoliti la pianura, ben al di là degli ironici rilievi naturalistici - «Piatta è piatta. Su questo non c'è dubbio», recita l'incipit -, coincide con la storia dei suoi artisti, delle sue menti più brillanti, va a confondersi con la cosiddetta «scuola emiliana», quella dei Celati e dei Benati, dei Cavazzoni e dei Nori. Quella comicità scaturita dal magone, che non vuole far mai ridere davvero, una comicità accennata, involontaria, che a leggerla vien talvolta da sorridere tra le righe, ma quasi seguendo quel noto adagio «ridere per non piangere». La comicità della Pianura non si oppone mai al tragico (non si potrebbe in nessun caso parlare di drammatico, perché il drammatico è un registro che si prende sul serio), casomai è una sua derivazione. La Pianura è pervasa da una comicità che è poco più che svagatezza, una serissima e filosofica coglioneria.
E alla fine della scorribanda conviene tornare al Gianni Celati delle Quattro novelle sulle apparenze, e segnatamente al finale de «I lettori di libri sono sempre più falsi» che è più devastante di un cazzotto di Cassius Clay: «Noi chiediamo di poter celebrare questo insostanziale, e il vuoto, l'ombra, l'erba secca, le pietre dei muri che crollano e la polvere che respiriamo».
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