Curiosamente non sono tante le opere cinematografiche che hanno raccontato una delle nostre associazioni criminali più forti e, per certi versi, più «familiari»' della stessa mafia siciliana molto protagonista al cinema, la calabrese ndrangheta che, appunto, basa la sua potenza sui legami di famiglia, di sangue. Così, dopo il recente capolavoro di Jonas Carpignano A Chiara (2021), con una quindicenne che si ritrova a scoprire la vera attività della sua famiglia, e Anime nere (2014) di Francesco Munzi, dall'omonimo romanzo di Gioacchino Criaco, è un altro libro e un altro sguardo, tutto al femminile, a portare lo spettatore nell'abisso di usi e costumi così atavici e primordiali da sembrare quasi non appartenerci. Ma Una femmina, diretto da Francesco Costabile e presentato l'altro giorno al Festival di Berlino prima di uscire nei cinema giovedì grazie a Medusa, è tratto da Fimmine ribelli. Come le donne salveranno il paese dalla n'drangheta di Lirio Abbate, un libro inchiesta formato da una raccolta di testimonianze «di donne, come Giusy Pesce e Maria Concetta Cacciola, che hanno avuto il coraggio di rompere con i legami di sangue e i codici d'onore della ndrangheta, l'organizzazione criminale che ha saputo, più di tutte, costruire il suo impero sulle fondamenta più solide e archetipiche al mondo: la famiglia. Se la ndrangheta oggi è così potente è proprio grazie a questa struttura e alla sua forza», dice il regista che, due anni fa, con Federico Savonitto ha diretto il bellissimo documentario In un futuro aprile. Il giovane Paolini anticipando il centenario del grande intellettuale che si celebra quest'anno.
Il film di Costabile, al suo esordio nel lungometraggio di finzione, si concentra sulla storia solo di Una femmina che racchiude anche quella di tante altre, ossia Rosa, una ragazza inquieta e ribelle, che vive con la nonna e lo zio in un paesino della Calabria. La madre è morta misteriosamente quando lei era bambina e poco alla volta quel passato inizia a venire a galla, accompagnato da un trauma che emerge dalle pieghe della memoria e nonostante i silenzi tombali dei suoi familiari. Ma, di fronte a un destino già segnato, Rosa cercherà di fuggire dalla famiglia ordendo una vendetta micidiale.
Sceneggiato dal regista con Lirio Abbate, Serena Brugnolo e Adriano Chiareli, Una femmina prende le mosse dal soggetto, sempre di Abbate, scritto con Edoardo De Angelis, il regista di Indivisibili, qui anche produttore con la sua, e di Pierpaolo Verga, O' Groove e Trump Limited di Attilio De Razza e Ficarra e Picone.
Una presenza, quella di De Angelis, che si sente sia nella scelta della straordinaria ed esordiente protagonista, Lina Siciliano che ricorda molto Pina Turco, moglie di De Angelis e attrice nel suo film più recente, Il vizio della speranza, sia nella deriva «visionaria» del film che trasfigura il realismo del racconto con la forza di immagini che giocano, ad esempio, con il fuori fuoco usato quasi come filtro «instagrammabile» per mettere al centro la femmina ribelle: «Al di là del realismo - dice il regista che la realtà calabrese conosce bene perché è nato a Cosenza nel 1980 - ho cercato zone più profonde, connettendomi con l'esperienza traumatica vissuta da queste donne, facendone percepire il sentimento di oppressione, di impotenza, per far sì che questo film diventasse innanzitutto un'esperienza intima, quasi
irrazionale, per lo spettatore. Ho cercato quindi di restituire l'immagine di una Calabria magica, ipnotica, territorio inconscio di qualcosa che è sommerso, che fatica ad emergere e a mostrarsi in tutta la sua bellezza».
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