I celebri falsi di Modigliani, adesso esposti a palazzo Bonacossi a Ferrara, diventeranno un film, per Sky, con la regia di Paolo Virzì (foto). E la mostra, dal titolo FAKES da Alceo Dossena ai falsi Modigliani, sarà prorogata fino al 25 settembre 2022. L'idea del film è stata anticipata in questi giorni da Il Tirreno, che ha raccontato le reazioni che la notizia ha scatenato nei protagonisti di quella storia: i tre ragazzi che quasi quarant'anni fa realizzarono una delle più famose burle d'arte gettando nei fossi livornesi le tre false sculture. I tre, allora studenti universitari, Michele Ghelarducci, Pietro Luridiana e Pierfrancesco Ferrucci, oggi hanno circa 58 anni e sono professionisti in diversi campi: Ferrucci è oncologo (all'Istituto europeo di oncologia, a Milano), Ghelarducci è spedizioniere, Luridiana è informatico e imprenditore, con un negozio di computer a Livorno.
I progetti di una realizzazione cinematografica legata alla beffa d'arte del 1984 in realtà sono due, quello di Virzì col fratello Carlo e con la sceneggiatura dell'assessore-scrittore di Livorno Simone Lenzi e quello che porta la firma dei tre autori della storica goliardata artistica. Per quanto riguarda quest'ultimo, «i testi - come spiega al Tirreno Ferrucci - sono scritti. Il progetto è in fase avanzata, è nato come film, poi è stato pensato anche come serie o fiction». I tre, come conferma lo stesso Ferrucci, sono coinvolti in prima persona. Per le uscite si guarda al 2024, per i 40 anni dalla beffa artistica che scosse il mondo. Tra i due progetti - sottolinea Ferrucci parlando al quotidiano toscano - non c'è alcuna competizione: «Sono solo contento - dice - se si riesce a realizzare uno o più progetti cinematografici legati alla nostra storia, perché per me rappresenta la chiusura di un cerchio».
Luridiana torna invece ai fatti del 1984 e al significato di quel gesto: «Volevamo lasciare un segno leggero, col
sorriso. In quegli anni qualcuno ne soffrì, ma come abbiamo sempre detto non era nelle nostre intenzioni». I tre sono concordi nel sostenere che quelle teste «ormai fanno parte della città e sono entrate nei libri di storia».
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