Strade, ponti, acquedotti e legioni. Quando pensiamo alla potenza di Roma antica le navi ci vengono in mente con un certo ritardo. Sappiamo tutti che i romani per battere Cartagine, la grande avversaria sul Mediterraneo, hanno dovuto inventarsi una flotta e la capacità di usarla. Ma resta nell'immaginario collettivo una capacità acquisita, quasi posticcia. Eppure sarà sempre sul mare, nel 31 avanti Cristo, ad Azio, che la storia di Roma cambierà per sempre con la sconfitta di Antonio da parte di Augusto o meglio del suo ammiraglio Agrippa (Antonio sul campo di battaglia rendeva poco). Del resto è di questi giorni anche la scoperta di antiche strutture portuali nella laguna veneta collegate da una strada oggi sommersa. E infatti non è questione di battaglie, è questione soprattutto di porti, di navi e di ingegneria. Il primo mercato veramente globale (almeno per quel che riguardava il mondo allora conosciuto) l'hanno creato i romani con la rete di infrastrutture, dai pontili ai frangiflutti, passando per i fari, che ha cementato una comunità, collegata dall'acqua, che andava da Alessandria alle coste della Britannia. L'impresa titanica per costruire isole artificiali, muraglioni lunghi quasi un chilometro, con le fondamenta in acqua e fari alti decine di metri è descritta come non è mai stato fatto prima da due archeologi francesi, Gérard Coulon e Jean-Claude Golvin nel volume, ricchissimo di illustrazioni, Il genio marittimo di Roma, appena pubblicato dalla Leg (pagg. 266, euro 20). Il libro è stupefacente per i meravigliosi disegni che ricostruiscono infrastrutture le cui tracce archeologiche sono oggi spesso sommerse, oppure interrate a causa del progressivo insabbiamento prodotto dai fiumi. Ma la parte più incredibile, completata anche a partire da alcuni lavori di studio sperimentale, è quella che racconta la tecnologia di costruzione.
Andando a scavare i resti dei porti romani come quello di Cesarea Marittima o di Pozzuoli sono ritrovabili dei cementi e dei calcestruzzi a presa rapida sottomarina che risultano più resistenti di quelli che siamo in grado di fabbricare con la tecnologia attuale. Merito dell'utilizzo della pozzolana. Questa polvere estratta nelle colline di Pozzuoli e mescolata alla calce e ad acqua di mare e ad alcuni aggreganti può essere versata in casseforme poste in mare e in poche ore consolida comunque. Di più, continua ad indurire e a rafforzarsi per lunghissimo tempo. Nessun rischio di corrosione come per molti materiali moderni, anzi.
Ma se questa tecnologia risulta modernissima bisogna tenere conto che per molte attività i romani potevano contare solo sulla forza umana. Allora come sono state create isole artificiali portando in mare materiali per centinaia e centinaia di tonnellate? A partire dalle tracce archeologiche (rare e deperibili) e dalle ricostruzioni degli scrittori dell'epoca a partire da Vitruvio, il libro ricostruisce nel dettaglio tecniche edilizie incredibili. Cassoni galleggianti trascinati con chiatte a remi, tecniche pensate per far scivolare in mare pietre pesantissime sfruttando l'erosione naturale della corrente di banchi di sabbia costruiti ad hoc. Sistemi di carico e scarico nei moli in grado di movimentare quantitativi di merce impensabili per una civiltà antica. Perché, ancora prima che dalle legioni, la stabilità della Repubblica prima e dell'Impero poi era difesa dal fatto che enormi quantitativi di grano raggiungessero le città evitando rivolte. Questo spiega l'enorme sforzo di mantenimento di strutture che risulterebbero impressionanti persino oggi. Ad esempio l'obelisco che si trova in piazza San Pietro, portato a Roma dall'Egitto ai tempi di Caligola, pesa da solo 350 tonnellate. Quando nel Rinascimento si trattò di rialzarlo si rischiò il disastro e ci vollero 4 mesi, 900 uomini, 75 cavalli e 40 argani. I romani lo trasportarono in un pezzo unico via mare con una nave speciale. «La cosa più prodigiosa mai vista sul mare» secondo Plinio il Vecchio. Ma leggendo il libro di Coulon e Galvin è la normalità dei porti romani a stupire, più che i trasporti eccezionali. Uno dei rischi più diffusi per i porti è l'insabbiamento. In molti casi venivano messi in azione sistemi di dragaggio avanzati, sebbene tutti basati sulla forza umana.
Tanto per dire, per vuotare dall'acqua le casseforme per gettare le fondamenta delle costruzioni in mare l'unico sistema efficace era la vite di Archimede.
Un operaio che corre sopra un tubo con un'elica dentro, altro che pompe a motore. Eppure volontà e organizzazione generarono in questo modo la prima globalizzazione. Appena questo sistema commerciale collassò l'Impero smise di esistere. Tutte cose da ricordare anche nelle crisi di oggi.
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