Che cosa collega Fritz Lang (1890-1976), il regista tedesco passato alla storia del cinema con il monumentale film muto Metropolis - 36.000 comparse, 310 giorni e 60 notti di riprese - , alla scena di certi efferati crimini, perpetrati in Germania, prima che l'autore col monocolo, insofferente a Hitler, si trasferisse a Hollywood? È mai possibile che quell'uomo energico ed elegante, impiegato da Jean-Luc Godard nel film Il disprezzo (1963), dove interpretava se stesso, un cineasta cosmopolita che prepara l'Odissea e parla tutte le lingue, sia stato un assassino? È quanto sostiene il film documentario in bianco e nero di Gordian Maugg Fritz Lang, prodotto dalla ZDF insieme ad ARTE e alla Film Commission dello Schleswig-Holstein nel quarantennale della morte di Lang. Nelle sale tedesche da domani, il film fa già discutere: partendo da persone realmente esistite e fatti veramente accaduti, Fritz Lang ricostruisce il passato oscuro dell'artista con una serie di collages dietro ai quali sparisce l'immagine dell'uomo di mondo cordiale, che parlava tedesco con una dolce inflessione viennese. Un'immagine che ogni cinéfilo coltiva, non foss'altro per gratitudine verso il grande artista. In 104 minuti di racconto, emerge invece un personaggio arrogante e freddo, un prussiano brutale che succhia cocaina liquida dal cucchiaio del brodo. Uno con una sua precisa routine notturna, che inevitabilmente finisce a prostitute nei bassifondi di Berlino. Del resto, non è un mistero che sua moglie, la sceneggiatrice Thea von Harbou, divorziata dall'attore Rudolph Kein-Rogge, lo scienziato pazzo di Metropolis, proprio per mettersi con Fritz, procurasse al creativo consorte le varie Lily e Betta e Gina. Anche per distrarlo dalle noie che gli causava il nazismo: il 30 febbraio del 1933, subito dopo l'insediamento del Fuehrer, avvenuto a gennaio, la Commissione Censura di Berlino aveva vietato Il testamento del dottor Mabuse «per i legittimi motivi del disturbo dell'ordine e della pubblica sicurezza». E Lang, imbufalito, cerca distrazione nel sesso estremo. Anche perché sua moglie, che aveva scritto Metropolis, comincia a simpatizzare col nazismo: undici anni di matrimonio e dieci film insieme nulla potranno. Thea e Fritz divorzieranno, non soltanto per questioni ideologiche, ma anche perché «non fanno più sesso», così trascrive il tribunale.
Di fatto, Gordian Maugg e il suo co-autore, lo scrittore Alexander Hausser, vanno sulle tracce di un killer seriale mai identificato, con l'aiuto del criminologo berlinese Ernst Gennat: potrebbe essere Lang in persona. E partono dal noir M-Il mostro di Duesseldorf (1931), che Fritz Lang girò ispirandosi ai delitti commessi, negli anni Venti tedeschi, da Fritz Haarmann e Peter Kuerten. In questo suo primo film sonoro, impressionante thriller urbano interpretato da Peter Lorre, Lang trasmetterebbe una conoscenza circostanziata di certe dinamiche investigative e, stando al docufilm di Maugg, ciò è dovuto a un buco nero nell'esistenza d'una leggenda del cinema. A un'esperienza personale. Qualcosa che risale al 25 settembre 1920, quando la prima moglie di Lang, Lisa Rosenthal, venne trovata morta in casa, una pallottola in petto. All'epoca, il vedovo non aveva alibi, per quella notte, però le autorità lasciarono stare e qui il docufilm insiste tra scene di strada, immagini della prima guerra mondiale e birrerie fumose, dove pure Hitler e Goebbels andavano con le ballerine dei Giardini d'inverno berlinesi sulla tesi: nel passato di Lang ci furono altre donne assassinate nell'ombra, oltre alla povera Lisa. Il monocolo riposto con cura nell'astuccio della sua Browning, le frequentazioni dei bassifondi berlinesi; la precisione con cui, nel suo capolavoro M, il regista domina la scena criminale, come conoscendola intimamente, i molti periodi bui, sono indizi rivelatori d'una vita tutt'altro che specchiata.
Del resto, anche lo scrittore americano Patrick McGilligan, dopo feroci ricerche negli archivi europei e americani, adombra una tesi analoga nella sua biografia Fritz Lang: The Nature of the Beast (University of Minnesota Press).
Tra Vienna, Berlino, Parigi e Hollywood, in mezzo ai Venti e ai Trenta, si aggirava una bestia. E un genio mezzo cieco che beveva Martini, mangiava uova a colazione e ci vedeva benissimo, pare, quando metteva mano al revolver.
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