Dico subito che l'ultimo Sanremo mi ha visto dalla parte di Bugo. Tanto per chiarire che di Morgan non sono amico né simpatizzante e che, se giudico importante Essere Morgan. La casa gialla (edito da La nave di Teseo), è per motivi lontani dal fanatismo musical-vippistico e tutti interni al contenuto del libro: una fiera rivendicazione della speciale dignità dell'artista. Qualcosa di nobilmente anacronistico, nel tempo iperdemocratico dell'uno-vale-uno, dei famosi per essere famosi, degli influencer senza qualità. Qualcosa di estremamente romantico e proprio nel senso originario del termine, quasi Sturm und Drang. L'arte e la vita si rincorrono e si confondono in questo volume di grande formato che è un appello alle istituzioni, un album dei ricordi, un inventario della villa di Monza persa per debiti. A Morgan può mancare il valsente ma giammai l'autostima: «A mio parere è un grave errore ridurre a non eccellenza il cittadino che invece è eccellente». In pratica il fondatore dei Bluvertigo chiede un salvacondotto economico per motivi artistici e subito mi è venuto in mente il lasciapassare che Papa Paolo III rilasciò a Cellini, colpevole non di tasse impagate bensì, un tantino più grave, di omicidio: «Gli uomini come Benvenuto, unici nella lor professione, non hanno da essere obbligati alle leggi». Purtroppo per Morgan il ministro Franceschini, colui che dovrebbe giungere in soccorso, non somiglia per nulla a Papa Farnese. Mettiamoci anche nei panni del politico ferrarese: come può un uomo di governo, per di più esponente di un partito che si dichiara democratico, ammettere la disuguaglianza davanti alla legge? Certo era più facile fare il protettore delle arti ai bei tempi dell'autocrazia, quando un potente mecenate non doveva rispondere a nessuno. In un mondo migliore Morgan otterrebbe ragione, anch'io credo che «le case degli artisti sono dei futuri monumenti a disposizione della comunità», da tutelare il più possibile. Durante l'interminabile quarantena ho desiderato visitare, per certe mie ricerche, la casa natale di Arturo Toscanini e lo studio di Carlo Mattioli, oltre al cortile del palazzo dove abitò per qualche anno Francesco Petrarca (pare vi sia una Madonna antelamica). Ma la considero una perversione privata, escludo che molti altri parmigiani abbiano sentito lo stesso bisogno.
Non so cosa darei per entrare nella soffitta dove abitò Guareschi da giovane, che guarda caso è nel mio stesso isolato: sarebbe bellissimo trovarci i mobili originali e sul comodino i libri che leggeva il futuro autore di Don Camillo. Sogni. Come temo sia un sogno irrealizzabile il desiderio di Marco Castoldi (il nome anagrafico) di rientrare nella casa dove tanto ha composto e tanto ha amato e che considera parte integrante della sua opera, come una sorta di Vittoriale monzese. E però, anche se non funzionerà a livello immobiliare, Essere Morgan funziona a livello critico. Leggendolo e guardandolo (le fotografie sono tantissime) ho finalmente capito chi è questo artista la cui immagine è così distorta dai media: l'ultimo degli scapigliati. C'entrano i capelli arruffati, ovvio. C'entrano il genio e la sregolatezza, altrettanto ovvio. A prestarci attenzione sono davvero tante le somiglianze con Praga e compagni: gli scapigliati erano lombardi o lombardocentrici, e Morgan è di Monza; erano «inquieti, travagliati, turbolenti, per una loro maniera eccentrica e disordinata di vivere», come scriveva Cletto Arrighi in un 1862 che però sembra il 2020; spesso finivano in miseria, e sappiamo il nostro autore com'è messo; volentieri esageravano con l'assenzio, e il moderno scapigliato al pericoloso liquore ha dedicato una delle sue canzoni più belle. Vi dirò di più: è lui il nuovo Tarchetti e la sua Fosca si chiama Asia. La figlia di Dario Argento ha vissuto nella villa di Monza al tempo della «coppia da rotocalchi», fra quelle mura dove si custodivano «gli scritti, i diari, le trascrizioni dei messaggi telefonici, gli stessi telefonini, le riprese video private, la raccolta della gigantesca rassegna stampa completa di quotidiani e periodici con gli articoli e le interviste, le fotografie stampate, le polaroid e i filmini Super 8, i taccuini con le poesie» e via di questo passo perché Morgan conserva tutto, le giacche di scena anche se lacere, gli strumenti anche se obsoleti (8 ukulele, 11 bassi, 19 sintetizzatori...), perfino il primo computer, un Atari del 1988, i temi della scuola elementare, le smemorande degli anni del liceo...
Disturbo da accumulo, direbbe uno psicologo. Esigenze artistiche, dice l'accumulatore: «Spesso il disordine (un ordine altro) è uno dei motori propulsivi alla base di creatività ed estro». L'ultimo degli artisti maledetti lavora così.
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