Ma Giuda non tradisce quando parla del suo Gesù

Il punto di vista e la "voce" dell'apostolo rinnegato Basato sui Vangeli e su documenti storici dell'epoca

Ma Giuda non tradisce quando parla del suo Gesù

Il mio nome è Giuda ben Shimon e sono nato a Keriot, nella Giudea.

Mio padre, uomo facoltoso e vero israelita, mi aveva fatto studiare ai piedi dei migliori maestri perché fossi pronto per la venuta del Messia. Aveva infatti calcolato che le Settanta Settimane di Anni, profetizzate da Daniele, stavano per scadere. Quasi tutti i maestri della religione erano d'accordo su questo punto. Il Messia stava arrivando, forse addirittura nell'Anno del Giubileo.

Mio padre si considerava ormai troppo anziano perché il suo braccio fosse di qualche utilità per il Gran Giorno, perciò aveva appuntato tutte le sue ambizioni su di me, che ero il suo unico figlio. E io crescevo secondo le sue speranze, forte nella persona e affilato nel pensiero, lesto di mano e di favella, pupilla del suo occhio. Sarebbe toccato a me quel che non poteva più fare lui: essere parte del corteo regale dell'Atteso, il Re d'Israele, colui che avrebbe liberato il Popolo della Promessa e messo fine per sempre ai tempi dei Gentili.

Io, Giuda ben Shimon, addestrato nel corpo e nella mente, non avevo altro sogno, né altro scopo nella vita, che adempiere il voto di mio padre. Per questo, pur essendo un buon partito e di bell'aspetto, avevo declinato ogni proposta di matrimonio. Se tante fanciulle avevano messo gli occhi su di me, io non ne avevo per nessuna.

Io ero consacrato al Messia e avrei avuto parte nella sua gloria. Una parte proporzionata alla mia dedizione e al mio apporto.

Mio padre, portandomi al Tempio per il mio ingresso ufficiale tra gli uomini quando avevo dodici anni, giurò sull'altare del Santo di dedicare il suo primogenito e unigenito alla sequela del Messia. Lo dichiarò davanti a tutti e non perse occasione di farlo sapere a chiunque. Perciò, pochi provarono a proporgli contratti nuziali tra le loro figlie e me. Respinti questi, nessun altro più si fece avanti.

Ogni mattina, alla recita dello Shemà, mio padre mi ripeteva il motivo per cui io ero al mondo e la responsabilità che gravava sulle mie spalle. Io ne fui sempre fiero, e mai inferiore alle sue aspettative.

In palestra, all'ora dell'addestramento alle armi, qualche giovane aveva provato a beffeggiarmi perché ero il solo, in quell'ambiente, a cui non interessavano le donne e, anzi, mai prendevo parte alle chiacchiere maschili che le concernevano. Prima che dall'ironia si passasse alle insinuazioni, chi aveva anche solo tentato era finito nella polvere. Dopo avere atterrato il terzo che aveva osato, avevo gridato con furia a tutti i presenti che io, Giuda ben Shimon, avrei ricevuto una moglie solo dalle mani del Messia, se e quando Lui lo avesse voluto per ricompensare la mia totale devozione alla sua causa. Non prima e da nessun altro.

Da allora ogni facezia era cessata e i miei compagni avevano preso a guardarmi con timore e rispetto.

Ogni giorno, ai piedi del maestro, le mie domande erano sui tempi del Messia, sui calcoli che erano stati effettuati, sulle profezie che lo riguardavano, sul comportamento personale da tenere per essere trovati da Lui impeccabili quando fosse giunta la sua ora.

Ogni giorno, all'ora della preghiera, levavo le mie mani al Dio dei miei padri e, come l'antico profeta, dicevo: eccomi, prendi me.

Ogni giorno il mio orecchio era attento a ogni brandello di notizia che indicasse un luogo, una direzione, un fatto anche minimo, una traccia. Il Messia stava per giungere, e io dovevo sapere prima possibile dove si sarebbe manifestato.

E finalmente lo seppi.

***

Si chiamava Matthai ben Margaloth e nessuno era in grado di dire da dove provenisse. Era comparso quasi dal nulla, un giorno, e aveva strabiliato tutti con portenti che avevano fatto in breve il giro della Giudea.

Nella palestra non si parlava d'altro. I rabbini però erano perplessi: il tempo era, sì, quello giusto, ma lo era anche l'uomo? Era spuntato all'improvviso, come tutti pensavano che avrebbe fatto il Messia. E si diceva che al suo comando le porte, anche quelle delle città, si aprivano da sole. Attorno a lui si erano radunati in molti e la turba che lo seguiva si ingrossava a vista d'occhio. I miei maestri, interrogati al riguardo, ripetevano che il tempo era davvero giunto e gli indizi sembravano esserci tutti. Ma fu il più sagace di loro a dare il responso più semplice e sensato: andate a chiederlo a lui stesso.

Io, naturalmente, feci parte della delegazione che da Keriot si avviò verso il campo in cui Matthai, sulle rive del Giordano, aveva raccolto i suoi seguaci.

Quando giungemmo, ebbi io l'onore di porgergli la domanda: sei tu quello che deve venire o dobbiamo aspettarne un altro?

Matthai ci accolse nella sua tenda, che era la più grande di tutte. Entrammo in tre, gli estratti a sorte tra i quindici della delegazione. Io fui tra i prescelti, e lo considerai un presagio favorevole.

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