Greenaway: "L'Apocalisse? È fatta di ombre e speranze"

Il regista e pittore è a Spoleto con un'installazione (areligiosa) firmata con la moglie Saskia Boddeke

Greenaway: "L'Apocalisse? È fatta di ombre e speranze"

Nasce pittore, e continua a considerare la pittura l'arte somma. Di fatto, Peter Greenaway (Newport, 1942) è regista con pochi pari. O meglio. È inutile tentare paragoni. Sfugge a ogni classificazione questo maestro dell'immagine, ostile alla dittatura del testo e allo strapotere degli attori.

Lo abbiamo incontrato a Spoleto, fra i protagonisti della sessantesima edizione del Festival dei 2Mondi. Carla Fendi, storica mecenate della manifestazione, aveva affidato a lui e alla moglie Saskia Boddeke il secondo atto del progetto Genesi - Apocalisse, la prima illustrata da Sandro Chia e la seconda, appunto, affidata ai Greenaway. Che hanno firmato un'installazione centrata sui quattro Cavalieri dell'Apocalisse. Cavalieri e cavalli dipinti da Greenway in persona, galleggianti in un mare di lacrime, fra valigie intinte del sangue delle guerre, lacci che violano la libertà, un pugno di sale come unica risorsa dopo lunga carestia. In una stanzetta riposa Dio che ha orecchi solo per una fanciulla: la Speranza. Mele ovunque. «Rappresentano la conoscenza: il bene più prezioso che l'uomo abbia, senza di essa come possiamo scegliere? È un diritto imprescindibile» rimarca la Boddeke, atea come il marito.

L'installazione, del resto, è areligiosa, spiega la coppia all'unisono. Un duo d'opposti: donna istintiva e di passioni Saskia, sarcastico, tagliente e squisitamente intellettuale Peter. «Non ci siamo rifatti a nessun principio religioso - continua lui - Sono partito da un presupposto: lo stato naturale dell'uomo è di pace e di amicizia. Si nutre di speranze ed è per questo che sopravvive». Ma lui, genio ribelle, è in pace con se stesso? «Non siamo artisti tormentati», interviene prontamente Saskia. Lui è meno convinto, ammette che l'essenza di un artista sta nel conflitto con sé: «Abbiamo una parte all'ombra e l'altra al sole, un lato è intellettuale e l'altro emozionale, può innescarsi un confitto fra notte e giorno. La chiave di volta sta nel trovare un equilibrio: la grande opera d'arte è quella che riesce a far dialogare l'ombra con la luce». L'installazione porta alla ribalta uno dei temi cari a Greenaway, la morte. «Sono solo due le cose di cui veramente si può parlare, l'una è il sesso e l'altra è la morte. Li troviamo al principio e alla fine dell'esistenza. Non ci sono religione e forme di conoscenza che prescindano da questa cosa imponderabile. La vita è regolata dal sesso e dalla morte, il mio stesso mestiere si sostanzia di questo». A suo tempo, Greenaway non mancò di tracciare un quadro impietoso dell'Inghilterra thatcheriana, esemplarmente ne Il cuoco, il ladro, sua moglie e l'amante. Rifarebbe un film sull'Inghilterra di oggi? «Sono inglese, ma non per questo sento di dovermi occupare per forza del mio Paese. Però se leggete il testo dell'installazione, vedrete che non mancano i riferimenti alla situazione politica di oggi». E cita l'America di Trump.

Greenaway è in Italia anche per seguire l'esposizione a Casa Manzoni di Milano dedicata al pittore Giancarlo Vitali. Poi tornerà in settembre, perché dall'11 riprende a girare il suo ultimo film, Walking to Paris. Mentre in novembre uscirà un docufilm su di lui. Se ne occupa la moglie. Mancano soltanto riprese nel nativo Galles, poi è fatta. Si entra nel privato di quest'uomo di cui conosceremo lati ignoti, assicura la moglie. Lo vedremo anche nel ruolo di padre: di Pip, una ragazza di 16 anni «che Peter ha educato partendo dalle lettere dell'alfabeto», spiega la moglie. A come Amsterdam, dove vive. A come Arte... e così via. «Ai bambini si insegna a leggere e scrivere, mai a leggere le immagini» è il mantra di Greenaway che alla figlia ha voluto insegnare proprio questo. Si documentano lati nascosti di un artista dalla personalità sfaccettata, «affascinante, speciale ma credetemi: complicata» ancora la moglie.

«Un genio troppo grande per essere compreso da un'adolescente, quando nostra figlia sarà grande, e rivedrà il film, avrà gli strumenti per capire chi è stato papà. Io stessa riesco meglio a capire il suo modo di esprimersi come artista».

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