"Con i nuovi brani provo ad alzare l'asticella del pop"

L'artista pubblica il disco "Possibili scenari" e prepara il primo tour negli stadi: "Non ho mai seguito le mode. I social? Ci costringono a fare i fighi"

"Con i nuovi brani provo ad alzare l'asticella del pop"

In fondo basta il suo primo singolo Poetica a confermare che Cesare Cremonini è un caso a parte. Attualissimo eppure legato alla tradizione. Profondo ma istintivo. Insomma, un unicum nell'orizzonte spesso stereotipato della nostra canzone d'autore ogni giorno più autocompiaciuta. Perciò il disco Possibili scenari, che esce domani, si candida a essere uno dei migliori dell'anno (e forse degli ultimi due o tre) perché è inattaccabile, potente e destinato a non invecchiare. «Ho lavorato due anni per alzare l'asticella del pop e superare me stesso» spiega parlando delle nuove canzoni e di come le ha scritte, composte, registrate con il fidatissimo Walter Mameli: «Sono stato uomo di fronte al mio mestiere». Lo è stato anche quando, nel pieno dello scandalo secondary ticketing, non ha preso decisioni impulsive, confermando la fiducia a Live Nation che ora gli organizza il primo tour negli stadi. Un nuovo Cremonini che conferma il vero segreto del successo all'alba dei vent'anni di carriera: essere sempre sorprendenti.

Dopotutto, caro Cremonini, presentarsi in radio nel 2017 con un brano come Poetica è una sfida vera.

«È stato un salto da un trampolino molto alto e senza protezione. E' andata benissimo (è in rotazione su tutti i network - ndr) ma era una bella sfida perché ha pochi riferimenti ai brani del mio recente passato come Greygoose, ad esempio».

Il suo marchio di fabbrica è la continua evoluzione.

«Navigo a vista dentro di me su di un mare che non mi fa vedere l'orizzonte».

Però ha sempre voluto prendere il largo.

«Ma ho pagato le mie scelte. Magari facevo dischi considerati molto buoni ma poi mi trovavo a suonare gratis nelle piazze. Diciamo che ho subito le conseguenze di una determinata cornice culturale, ho scontato il peccato originale dei Lùnapop ma oggi mi trovo fan che mi considerano un fratello maggiore e sono cresciuti con le mie canzoni».

Il disco ha due rotte. La prima porta alla trascinante Kashmir-Kashmir.

«Chi l'avrebbe detto che in una mia canzone un giorno avrei usato parole come mujaheddin, che sono come matrioske capaci di contenere tanti altri significati? L'ho scritta ascoltando anche Rock the casbah dei Clash, provando più ad analizzare la perdita di valori occidentali che le condizioni esterne... Può essere equivocabile ma il significato è questo».

E l'altra rotta arriva Al tuo matrimonio.

«C'era bisogno di un brano così, più divertente e scanzonato. Dopotutto sono nella fase nella quale si sposa la mia ex fidanzata o gli amici annunciano il primo o addirittura il secondo figlio...».

Ma non dica che lei non ne ha mai avuto la possibilità.

«Sì ma quando mi hanno chiesto se volevo un figlio, ho risposto che volevo fare San Siro (ride con la consapevolezza di chi sa di fare una battuta - ndr)».

Comunque c'è riuscito. Le prevendite vanno benissimo per i concerti che partono il 15 giugno da Lignano Sabbiadoro e passano il 20 da San Siro e il 23 all'Olimpico.

«Per me suonare in uno stadio significa provare a fare un grande concerto e non una autocelebrazione. Avevo la sensazione di non poter continuare a nascondermi dietro ai palasport e così eccomi qui».

Sarà il primo «vero» bolognese a cantare allo stadio Dall'Ara 35 anni dopo Lucio Dalla.

«Quel giorno ci saranno anche mio padre e mia mamma».

Padre madre è uno dei suoi brani più significativi.

«Quando l'ho cantato nel palasport di Bologna c'era mio papà ma non riuscivo a parlare perché mi commuovevo».

Ha 94 anni ed è appena stato premiato per la sua carriera da dottore.

«Lui ha sempre trattato me come un paziente e i suoi pazienti come figli. È severo e di poche parole. Quando ha ascoltato le mie nuove canzoni, ha detto semplicemente affermativo».

E sua mamma?

«Mi ha mandato in paranoia dicendo che con queste canzoni vai a New York. Ma cosa vuol dire?». (sorride - ndr).

Alla fine, anche ascoltando il bellissimo Nessuno vuole essere Robin, qual è il filo conduttore dell'album?

«Il desiderio di empatia che nasce dalla sempre maggiore mancanza di comunicazione tra le persone».

Eppure siamo nell'epoca dei social network che fanno comunicare tutti.

«I social ci costringono sempre a essere fighi, a fare battute, a provocare. Ma questo non credo ci faccia del bene».

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