Così, uno di fianco all'altro, non si sono mai visti. Da sinistra, Riccardo Fogli, Red Canzian, Roby Facchinetti, Dodi Battaglia, Stefano D'Orazio, insomma tutti i Pooh insieme per dire che i Pooh finiscono per sempre. Dopo cinquant'anni esatti, visto che si sono formati ufficialmente il 28 gennaio 1966. «Il nostro ultimo valzer saranno due concerti, uno a San Siro il 10 giugno e uno all'Olimpico il 15». Poi basta. Poi punto e a capo. «Ciascuno farà magari dischi e concerti da solo ma dopo questi eventi il gruppo non farà più nessun concerto e nessun disco insieme», dicono loro in coro anche se c'è la possibilità di qualche altra apparizione almeno fino al 31 dicembre del prossimo anno.
Poi comunque basta.
E c'era, nella sala dell'hotel Boscolo dove si sono presentati alla stampa, un bel po' di commozione. Sia al tavolo, dove le voci si sono increspate per l'emozione, soprattutto quando Roby Facchinetti ha ricordato l'autore e fondatore della band Valerio Negrini, morto all'improvviso pochi anni fa: «È il grande assente, senza di lui non saremmo arrivati fin qui». Per celebrarsi e celebrare una storia che incontestabilmente è un pilastro della musica leggera popolare italiana, i Pooh hanno richiamato Riccardo Fogli, che lasciò la band nel 1973, e convocato, quasi d'imperio dopo sei anni, Stefano D'Orazio. Per iniziare quello che sarà probabilmente il più lungo addio alle scene del nostro pop, da oggi le radio inizieranno a trasmettere una nuova versione (più rock) di Pensiero del 1971, uno dei loro inni: «In ogni parte del mondo quando inizio a cantare “Non restare chiuso qui...” c'è qualcuno vicino o lontano che conclude il verso con “Pensieroooo...”. Ho provato dappertutto, nei bagni degli autogrill o sulla Muraglia Cinese e ovunque è successo così», ha raccontato Roby Facchinetti tra la compiaciuta ilarità di tutti.
In effetti, battute a parte, i Pooh sono stati autentici pionieri sia nella costruzione di un prog rock italiano (con Parsifal ad esempio) che con la scelta popolare di testi spartiacque (come Pierre del 1976, versi bellissimi sull'omosessualità quando era quasi vietato parlarne in pubblico, figurarsi su disco). Oltretutto, i Pooh sono stati i primi a puntare sulla tecnologia sia in studio di incisione che dal vivo: «Nel mio paese dicevano “miiii arrivano quelli con i laser sul palco”», ha ricordato scherzosamente Fiorello in un video (un tributo al quale hanno partecipato anche Pausini, Renga, Elisa, Il Volo, Panariello ed Emma). Perciò, prima di iniziare la sarabanda che potrebbe passare anche dal Festival di Sanremo (sarebbero i perfetti ospiti d'onore) e che sarà celebrata da uno speciale su Raiuno e dalla pubblicazione di un picture disc con la scaletta scelta dai fan, Facchinetti ha dato l'ennesima conferma del rigore di questa band: «A pochi capita di saper e poter decidere quando è il momento di scendere dal palco definitivamente». Vero.
Ai tempi della canzone d'autore impegnata (anche politicamente) o del punk anglosassone, i Pooh erano sottovalutati e talvolta indicati come esempio di disimpegno e pochezza creativa. La realtà, come si vede da quanto sono tuttora radicati nella tradizione e nel costume italiano, era diversa. «Loro sono fortissimi e mi sento bene in mezzo a questi quattro scellerati», ha confermato un Riccardo Fogli molto impegnato ad annacquare la propria commozione nel suo solito accento toscano. «Per capire se ho ancora fiato per questi concerti ho iniziato ad andare a correre a Villa Pamphilj a Roma. Ero preoccupato per questo ritorno ma un giorno il mio amico Fabio Capello mi ha detto “guarda che il ritorno è un'ottima occasione per far meglio che all'andata”». E giù risate.
In fondo,
anche annunciando la fine della propria storia, i Pooh hanno confermato quei tratti tipici che l'hanno resa indubbiamente unica: la serenità costruttiva a qualsiasi costo, roba che oggi si deve cercare con il lanternino.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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