Joseph Mazur sa di non essere certo il primo, né tanto meno l'ultimo: «Nessuna pila di libri potrà mai esaurire l'argomento. Il mio viene dopo altri duecentomila, fra testi e saggi, che hanno cercato di esprimere un punto di vista sul significato del tempo, dalla Fisica di Aristotele in poi. E non sarà l'ultimo». È così, il tempo è dappertutto, anzi, il tempo è tutto, nella nostra vita, e non possiamo fare a meno di nominarlo, studiarlo, misurarlo e riflettere su di esso, per quanto la fisica del Novecento ci dica che non esiste; ed è lo stesso Mazur, professore emerito di Matematica al Marlboro College, nel Vermont, a dire che «a livello del subconscio, la vita ha tutta a che fare con il tempo. Nel solo gesto di lanciare una palla, il corpo percepisce le informazioni che arrivano al cervello, il quale coordina tutte le funzioni muscolari che servono per avere presa sulla palla: uno solleva il braccio, mira, fa oscillare il braccio e allenta la presa proprio al momento esatto in cui deve lasciare andare la palla e farla volare nell'aria, per colpire il suo obiettivo». Come fa il cervello a coordinare movimenti e informazioni, e a farlo in pochi istanti? «Grazie al nostro istinto primordiale di sopravvivenza: dovevamo sapere come cacciare e come sfuggire al pericolo. La tigre dai denti a sciabola è veloce, e tu sei una preda gustosa, quando ha fame». E quindi, nonostante i duecentomila precedenti, ha senso una Storia del tempo (ilSaggiatore, pagg. 310, euro 26), per cercare di «comporre» gli aspetti scientifici, filosofici, antropologici, umani, storici e perfino tecnici di questa storia d'amore infinita fra noi umani e... un oggetto del desiderio ancora più inafferrabile del solito.
Professor Mazur, il sottotitolo originale del suo libro è «il nostro mito del tempo misurato». Il tempo è un mito?
«Più che il tempo, lo è il modo in cui lo misuriamo. Sembriamo pensarlo come qualcosa di assoluto, pur sapendo che è relativo per la fisica e impreciso nell'uso personale e pubblico: ci lasciamo confondere dall'idea che ci servano gli orologi atomici che sincronizzano i nostri cellulari e pensiamo che il tempo abbia una sola misura. Il vero mito è che la maggior parte delle persone pensi che ci sia il tempo lì fuori, da qualche parte, in agguato, come le onde radio...».
La fisica dice che il tempo non esiste.
«Il tempo è un'illusione, nel senso che è uno strumento inventato. In noi c'è una coscienza istintiva del passato e del futuro e, per la sopravvivenza primitiva, sarebbe bastata quella; ma, quando si sono evolute le prime società, è servita maggiore coordinazione con gli altri e, a mano a mano, la misurazione del tempo è diventata necessaria. Così abbiamo inventato la misura di qualcosa che non sapevamo neppure definire».
Eppure, dentro di noi, un tempo c'è?
«Il tempo dentro il nostro corpo è circadiano. I nostri corpi, così come le cellule di animali e piante, si sono evoluti per milioni di anni su un pianeta che ruota più o meno agli stessi ritmi da milioni di anni: la vita nei corpi segue ritmi sincronizzati col nostro sistema solare, non quelli dei modelli relativistici. Se la Terra rallentasse all'improvviso di qualche ora ogni giorno avremmo gravi problemi di salute, che potrebbero risolversi, o forse no».
Ma il tempo è quello della nostra esperienza personale, o quello descritto dalla scienza?
«Questa è la domanda sempre aperta, che però resta senza una risposta soddisfacente. Bisognerebbe ricorrere a due termini diversi, uno per il tempo scientifico e uno per il tempo personale».
Perché tendiamo a credere in un tempo assoluto?
«Credo che ci faccia sentire più a nostro agio pensare di conoscere qualcosa senza ambiguità, e il tempo assoluto ci offre un orologio metaforico - una misura della verità - da visualizzare; mentre un tempo relativo non riusciremmo a visualizzarlo».
C'è un orologio anche nel nostro corpo?
«Non uno ma forse milioni, miliardi. Quasi ogni singola cellula del corpo funziona in accordo col tempo circadiano per fare il suo lavoro, che sia produrre proteine o convertire il cibo in energia. Poi c'è un regolatore nel cervello, che sincronizza le tempistiche».
C'è un orologio anche nel cervello quindi?
«Sì, c'è una parte, chiamata nucleo soprachiasmatico, molto vicino alla ghiandola pineale, la quale è responsabile della ricezione delle informazioni sulla luce dall'ambiente - quei segnali che dicono alle cellule quando lavorare, quando rallentare, quando accelerare - e della secrezione di melatonina».
Allora il tempo è davvero «il ritmo della coscienza»?
«Sì. Non c'è una connessione diretta fra ciò che fanno le cellule del corpo e la percezione cosciente del tempo, ma chi lo sa? Se mai arrivassimo a uno stato di coscienza quasi vuota, la sincronizzazione dei ritmi della mente e del corpo ci offrirebbe la percezione del tempo attraverso i battiti dell'orologio del corpo. Forse è proprio ciò che il tempo è, la percezione di battiti corporei non specificati».
Chi è arrivato più vicino ad afferrare il tempo, la filosofia, la letteratura, la fisica, la fantascienza, l'ingegneria, i poeti...?
«Una volta, un insigne matematico britannico e storico della scienza mi ha detto che, se uno vuole sapere che cosa sia il tempo, deve prima sapere che cosa sia un orologio; ma, quando ho intervistato degli orologiai, non avevano risposte definitive. Direi che, al momento, la risposta più significativa sia quella dei microbiologi, sul fatto che il corpo umano funzioni a ritmi circadiani a livello cellulare. La filosofia si arrovella con la questione da oltre duemila anni, la fisica ci dice come misurare e usare il tempo ma non si azzarda nemmeno a definirlo, la letteratura ci dice come viviamo in esso, l'ingegneria lo utilizza per costruire cose utili, la fantascienza, beh, è finzione. E certamente i poeti hanno avuto il vantaggio di esprimere forme che ci fanno credere di sapere che cosa sia il tempo, quando in realtà non lo sappiamo».
Ha parlato con molte persone, dagli ergastolani agli astronauti, dagli orologiai ai guidatori di camion su lunghe tratte, che cosa l'ha colpita di più?
«Il fatto che le persone meno istruite abbiano dato le risposte più intelligenti. La più impressionante è arrivata da un uomo condannato a sette anni per omicidio: Il tempo è collegato in qualche modo alla coscienza, è la misura della vita. Siamo esseri coscienti in un mondo fisico senza coscienza, un mondo di rocce e piante che cambiano in relazione a esseri coscienti che cercano di comprendere il senso di questa connessione. Se togli la coscienza, non ti resta altro che il cambiamento».
Gli ergastolani hanno una percezione molto diversa del tempo?
«Totalmente. Ho parlato con persone rimaste in isolamento per mesi: a loro non viene detto quanto durerà l'isolamento, è parte del tormento della pena, per cui ogni giorno diventa la tremenda agonia di una tortura senza tempo a causa di una completa assenza di tempo nel cervello».
Che legame c'è fra il tempo e la noia?
«La
noia è la manifestazione del fatto che nulla cambi, o non molto: perciò, se fissiamo la pentola, l'acqua sembra non bollire mai. Come dice un mio amico, al tempo piace essere desiderato, proprio come a ognuno di noi...».
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