Kim Phuc, Lei per tutti è «The Napalm girl».
«Non posso credere che io sia sopravvissuta e che sia qui a ripensare a quale giorno di cinquant'anni fa, sorridendo. La mia storia è cominciata con un bombardamento e una foto. Ma io sono solo uno dei milioni di bambini che hanno sofferto e soffrono per le guerre. La differenza, tra la mia notorietà e tutti gli altri, l'ha fatta quella foto. Che ha testimoniato esattamente cos'è la guerra in Vietnam».
E che ha creato un'icona.
«Sì, sono diventata un simbolo con quella foto. Poi, tempo dopo, scoprii che Nick Ut, che l'aveva scattata, aveva abbandonato le sue macchine fotografiche per portarmi in ospedale. Mi ha salvato la vita. Gliela devo».
Da lì è cominciata la Sua testimonianza.
«E anche il mio dolore. Quel giorno iniziò, non finì. Rimasi 14 mesi in ospedale, e nella vita ho dovuto subire diciassette operazioni. L'ultimo intervento nel 1984, in Germania».
Guardandola, nessuno si accorgerebbe di ciò che Le è successo (Kim Phuc è una bella donna, elegantissima nel suo abito tradizione blu cobalto, con una pelle perfetta, senza cicatrici, ndr).
«Dopo che tornai a casa dall'ospedale ero molto grata ai medici e alle infermiere che mi avevano tenuta in vita. Quel periodo mi ispirò moltissimo: volevo anch'io diventare medico. Diciamo che poi invece ho cercato di aiutare gli altri con la mia storia».
Chi sono gli altri bambini che corrono con Lei sulla strada?
«Quello in primo piano con la bocca spalancata è mio fratello, che è morto nel 2004. Quella dietro mia sorella. Gli altri due sono i due cuginetti che stavano con noi».
Quando vide per la prima volta la foto?
«Quando tornai a casa dall'ospedale. Mio padre mi mostrò un ritaglio di giornale. Quando la vidi, con me nuda, rimasi scioccata. Perché sono nuda? Tutti hanno i vestiti tranne me!. Mi sono sentita in imbarazzo, vulnerabile. A lungo ho odiato quel momento e quella foto. Sapevo che avrei dovuto affrontare altri dolori, altri incubi».
E quando la guerra finì?
«Pensavamo che senza più bombe né armi le sofferenze sarebbero finite. E invece è arrivato un nuovo regime, quello comunista, che ha occupato il Paese. E le cose sono diventate anche più difficili».
Lei è sopravvissuta a tutto.
«Ma sono io la prima a chiedermi come ho fatto».
La risposta?
«Grazie alla fede. Sono diventata cristiana. E so che con l'aiuto di Dio si può affrontare tutto. L'arte della vita è vivere con amore, speranza e senso del perdono. Solo questo può davvero cambiare il mondo».
Anche una foto può cambiare il mondo.
«Certo che sì. E se sta pensando al popolo ucraino, vorrei che la mia storia fosse per loro un incoraggiamento e una speranza di salvezza».
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