“Kurt Cobain? Era buffo, rompicoglioni e geniale”

Danny Goldberg, il manager dei Nirvana, dà un ritratto inedito del musicista: “Kurt era depresso e tossico, ma divertente e incredibilmente intelligente”

“Kurt Cobain? Era buffo, rompicoglioni e geniale”

Kurt Cobain è un’icona della cultura pop e del mondo della musica al pari di Elvis Presley, John Lennon e Michael Jackson. Morto suicida nel 1994, il leader dei Nirvana è stato raccontato per la prima volta in maniera inedita da una persona che lo conosceva davvero bene: il suo manager Danny Goldberg. Autore del libro Serving the Servant - Ricordando Kurt Cobain, edito da HarperCollins, Goldberg ha ripercorso nel suo memoir il periodo passato accanto al musicista e ne ha fornito alcune anticipazioni in un’intervista all’Huffington Post durante il Salone del Libro di Torino.

Cobain, rivela l’agente, non era proprio l’angelo venuto sulla Terra in forma umana raccontato dal giornalista inglese Everett True nella biografia Nirvana - La vera storia. Anzi. Lo aveva già ribadito quando aveva rivelato il loro ultimo incontro prima del suicidio e lo ha confermato adesso nel suo volume. Descritto come “un essere umano e dolce verso le altre persone”, il musicista “era un rompicoglioni, un uomo lunatico e attaccabrighe, cattivo, buffo e stupido quanto tutti noi”.

Kurt Cobain: “Depresso e tossico, ma divertente e geniale”

Kurt – ricorda Goldberg – era depresso, tossico, un grande genio creativo, a volte sfoderava un sarcasmo amaro e disilluso, ma aveva anche una vena romantica e una grande fiducia nel valore della sua arte. Era uno sciattone, adorava il cibo spazzatura che mangiava quando era piccolo e gli piaceva restare in pigiama tutto il giorno. Detestava chi gli mancava di rispetto, poteva diventare scontroso da un momento all’altro, era però di una cortesia rara per una star, un uomo molto divertente e incredibilmente intelligente”.

Goldberg fu amico intimo di Cobain e riconosce che l’eredità che ha lasciato stia durando ben più a lungo della sua stessa carriera. “Per gli altri – dice il manager – è stato uno dei principali artisti del rock in generale, grande influenza musicale, vi portò la forza, la potenza e l’intensità del punk, un elemento di autenticità molto particolare, un musicista che è riuscito a dar voce a questa sensazione di grande isolamento e solitudine provata dai giovani e questo continua ancora adesso, dopo tanti anni. Faceva sentire gli altri meno soli rispetto alla società in cui ci troviamo a vivere oggi”.

L’eredità più forte che lascia – conclude Goldberg – non è la sua

morte, ma la sua musica. Ci sono un sacco di persone morte che hanno fatto molto. Con questo libro, volevo focalizzarmi sulla sua arte e da dove avesse avuto origine, perché è lì la sua vera ricchezza”.

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