Quando non sopportiamo più «il continuo svolazzare intorno alla fiamma della vanità», come dice Nietzsche, e non tolleriamo tutto il baccano economico, politico, mediatico che inquina il nostro quotidiano, ci verrebbe voglia di sparire con discrezione o, al limite, di cercare, attraverso un bisogno umanissimo, un senso profondo alla vita individuale e collettiva. A tal proposito alcuni scrittori, certi poeti, sono in grado di esprimere attraverso le loro biografie e le loro opere la tentazione tutta contemporanea di rendersi irraggiungibili, e mettersi offline. Da un lato c'è l'antica sapienza greca di Epicuro: «Vivi nascosto» che significa pratica l'exchóresis. Ovvero, va via dal coro, non seguire il gregge, evita gli affari della città, fuggi dalla concitazione. Chiuditi nel tuo giardino per dedicarti ai piaceri semplici e naturali con pochi amici scelti; rifiuta l'ostentazione del lusso e il trionfo del volgare. Dall'altro troviamo la saggezza stoica di Epitteto: pratica l'apátheia, ovvero l'indifferenza verso tutto quello che non dipende da te, e in particolare verso i beni terreni per eccellenza: sesso, potere, denaro.
C'è stato uno scrittore come Pessoa che per tutta la vita altro non ha fatto che fuggire da sé inventando eteronimi e ponendo, col suo stesso vissuto, questioni fondamentali su verità, esistenza e identità. Invece una poetessa come Emily Dickinson a trent'anni, e per sempre, si è vestita di bianco sottraendosi ai vani giochi dell'immagine di sé e delle ambizioni personali. Si chiuse in casa interrompendo ogni rapporto sociale, fatta eccezione per quelli epistolari con amici e parenti. Il «ladro di fuoco» Rimbaud, icona del poeta giovane, sfrenato e maledetto fino a una certa età è andato alla ricerca del «contro mondo» come dice l'antropologo David Le Breton - cercando l'assoluto, disperatamente, anche con l'abuso di assenzio e droghe. Poi la fuga dal Paese, da se stesso, dalla sua giovinezza di poeta. Per il resto dei suoi giorni sarà venditore d'armi e negriero in Africa. In questo nostro pianeta, dominato dalla comunicazione digitale e dai rapporti neoliberistici di produzione, antropologi come Le Breton argomentano la tentazione contemporanea della sparizione. Nel suo recente saggio Fuggire da sé (Cortina) lo studioso afferma che l'esistenza a volte ci pesa e la pressione permanente della competizione porta alcuni a mollare la presa, ad assentarsi divenendo irraggiungibili. Secondo Le Breton in certo modo vorremmo prendere una vacanza da noi stessi, tirar fiato, riposarci. La frantumazione del legame sociale isola l'individuo, restituendolo alla sua libertà o, per contro, alla sensazione di inadeguatezza, di fallimento personale. Il manzoniano frate Cristoforo entra in convento e cambia vita, nome, abito per nascondersi e sconfiggere i fantasmi della sua gioventù incatenata ad assurde convenzioni. Una doppia sparizione tocca a Edmond Dantès, personaggio di Dumas, che vive una fuga dal mondo quando viene ingiustamente rinchiuso per quattordici anni in un carcere dell'Ile d'If al largo delle coste marsigliesi. Una volta fuggito e fortunosamente entrato in possesso di un ingente tesoro, scompare di nuovo di fronte al mondo che lo crede morto, rifugiandosi nel personaggio inventato del Conte di Montecristo.
Eppure, la volontà di sottrarsi al legame sociale è, a volte, la condizione per continuare a vivere, per inaugurare un rapporto nuovo con gli altri, con se stessi e con il mondo. Il filosofo e scrittore H.D. Thoreau, del quale ricorrono i duecento anni dalla nascita, trascorre tra il luglio del 1845 e il settembre del 1847 mesi e giorni nei boschi e scrive nel Walden (Feltrinelli) il resoconto dei suoi anni di vita solitaria, raccontato attraverso un semplice diario che all'esperienza intima unisce la descrizione della vita quotidiana, materiale, fatta di silenzi, di suoni, paesaggi reali e immaginari. Da parte sua, il filosofo Pierre Zaoui nel saggio L'arte di scomparire (ilSaggiatore) parla della virtù, assai rara, della discrezione. Lontano dalle vetrine sfolgoranti, dal calcolo prudente, dalla paura o dal desiderio di essere notati, l'anima discreta offre al mondo una presenza giusta, misurata e diventa una necessaria forma di resistenza. Spegnere i riflettori, abbassare il volume, godere dell'anonimato sono gesti morali, sostiene Zaoui. La discrezione diventa così un'arte, un atto volontario, una consapevole scelta di vita in un mondo che ci vorrebbe sempre connessi, protagonisti, inesorabilmente presenti. Così, per alcuni, s'impone l'urgenza di una tregua, di staccare e sparire. Si può decidere di non essere più nessuno conducendo una vita impersonale; seguendo l'esempio di Ulisse, che nel IX canto dell'Odissea si presenta a Polifemo dicendo «Il mio nome è Nessuno», e così si salva da una morte certa. Spesso le narrazioni propongono ai loro testimoni vie di fuga temporanee per allentare i propri impegni sociali, identificandosi con figure prive di spessore, senza storia. I romanzi di Paul Auster sono emblematici quanto all'interrogarsi sulla scomparsa: i personaggi sono spesso assenti da sé, sia perché l'autore non attribuisce loro alcuno spessore biografico, lasciando loro solo una coscienza residuale, sia perché gli stessi personaggi cercano di scomparire in un momento o nell'altro della propria vita.
Eppure la sparizione può avere anche risvolti positivi se la si progetta come ascesi personale fatta di silenzio e meditazione, lontano dal rumore di fondo della nostra esistenza caotica e confusa. Può succedere, allora, che chiunque si possa sentire attratto dal mistero di esistere. Possedere una forma di spiritualità e ascetismo anche nelle nostre metropoli può diventare una filosofia di vita, una vocazione esistenziale.
È l'etica di chi, vagabondando tra le folle, non si rassegna alla disumanizzazione della burocrazia e delle regole pretestuose e si ostina, qui, ora e non altrove, a cercare la propria solitaria dimensione spirituale. È l'arte della sottrazione, non per negare ma per affermare se stessi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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