L'esotico è dentro casa: Enard ci fa viaggiare nella campagna francese

Nel nuovo romanzo, ambientato a Niort, coltivatori, studiosi, cibi succulenti e becchini

L'esotico è dentro casa: Enard ci fa viaggiare nella campagna francese

Mathias Enard è francese, infatti ha vinto il premio Goncourt per Bussola (e/o, 2016) però, leggendo i suoi romanzi qualcuno potrebbe dimenticarsene: ci ha trasportato in Iran, in Siria, in Turchia, in Siberia, a Parigi, nei Balcani, a Tangeri, a Vienna, trascinandoci fra tutte le lingue che parla, russo, tedesco, arabo, greco, persiano, italiano, tedesco, e nella sua cultura debordante. Ha vissuto per anni in Medio Oriente, ora è a Barcellona, però ogni tanto torna anche a casa sua. E con Il banchetto annuale della confraternita dei becchini (e/o, pagg. 476, euro 19; traduzione di Yasmina Melaouah) ci è tornato in senso sia fisico, sia letterario: il nuovo romanzo è infatti ambientato nei dintorni di Niort, non lontano dalla costa di La Rochelle, nella regione paludosa e contadina della Deux-Sèvres. Campagna francese, quella in cui è cresciuto lo stesso Enard, che è nato a Niort 49 anni fa. Insomma, come aveva detto qualche mese fa su queste pagine, un romanzo «esotico in tutt'altro senso», completamente immerso nell'Ovest della Francia, nella sua terra natale, che Enard esplora e ripercorre in lungo e in largo, nello spazio e nel tempo, a ritroso nella Storia e facendosi strada fra i campi, oggi sfruttati e inquinati, dove qualcuno cerca - forse utopicamente, forse coraggiosamente - un futuro diverso, per sé e per il pianeta.

L'escamotage di questa riscoperta del suolo natio sono le ricerche di David Mazon, aspirante etnologo che, da Parigi, si trasferisce per un anno in un paesino della zona, per preparare la sua tesi di dottorato. Si rintana in affitto in una villetta che ribattezza il «Pensiero selvaggio» (il luogo esiste davvero, a Rochesson, ed è una residenza per scrittori dove, qualche anno fa, Enard ha concepito il romanzo) e inizia a tenere un diario, che accoglie il lettore nelle prime pagine del libro. Poi la narrazione cambia, passa a una terza persona onnisciente nel vero senso del termine che, attraverso il meccanismo della metempsicosi, cioè raccontando i destini delle molte anime dei personaggi, intreccia le vicenda di David e degli abitanti del paesino fra passato remoto, eventi più recenti e presente, a tratti perfino il futuro, da Carlo Martello a Poitiers alla Liberazione dai tedeschi, da Napoleone a Carlo Magno, da Giulio Cesare che fece abbattere le foreste ai cinghiali che ancora si aggirano fra le siepi. Solo alla fine si torna al diario di David Mazon, che tira le fila (a modo suo) di una vicenda che, al cuore, ha il banchetto del titolo: infatti il sindaco del paese, Martial, di mestiere fa il becchino, e appartiene all'illustre confraternita fondata nientemeno che ai tempi del Saladino; e questa primavera, proprio quella in cui David è in loco, tocca a lui ospitare il tradizionale banchetto, della durata di tre giorni. Definirlo pantagruelico è scontato, ma così è: per le quantità infinita di portate e le leccornie, degne di fare invidia ai commensali di un romanzo di Dumas, per la profusione di lussuria gastronomica, per la goduria linguistica (sono pagine da esperti culinari, di ricette antiche e contemporanee, e da sommelier), per i riferimenti letterari (Rabelais, su tutti) e storici, per l'ironia feroce, che colpisce ciò che tutto livella, la Morte e i suoi «esperti», i quali, tra formule e brindisi e invocazioni dal tono quasi sacerdotale, non esitano a trattare il loro ambito per ciò che è, un business. E infatti c'è chi avanza la proposta del funerale «bio», che rispetti l'ambiente; e chi vuole aprire la confraternita alle donne (con scarsi risultati, ovviamente).

Insomma, chi cercava l'esotismo alla Enard non potrà che essere soddisfatto, perché anche questa volta l'autore francese riesce a trasformare la normalità e lo straordinario, la magia e la crudeltà, il lontano e il vicino in un mondo a sé stante, in cui i suoi protagonisti sono immersi e dal quale, allo stesso tempo, sono distaccati, in virtù di una cultura fuori dall'ordinario, sia essa quella di un orientalista, di un russofono, di un militare, di un critico d'arte, di un agronomo, di un tanatoprassista, di un allevatore, di un barcaiolo delle paludi, di un cecchino, di un coltivatore a chilometro zero... Enard snocciola nomi di vini come versi di antichi poeti persiani, senza peraltro suggerire gradazioni di importanza e, allo stesso tempo, ironizza sul saccentino David, lo studioso che si prende troppo sul serio, l'accademico destinato, guarda caso, a fallire. Una figura che ricorda molto il protagonista di Bussola, il coltissimo e frustrato Franz, anche se il destino di David è diverso.

Infine, in un romanzo dove la Morte domina già nel titolo, la Morte stessa viene sconfitta: è vero, i becchini seppelliscono centinaia e centinaia di cadaveri, i milioni di morti della storia di Francia; eppure, nel momento stesso in cui un corpo perde la vita, un'anima trasmigra in un altro essere, un neonato, una donna, un soldato, un sasso, una quercia, un nobile, un cavallo, una cornacchia, perfino una tempesta, giri e rigiri nella Ruota infinita della sofferenza, che «è sulla Terra e non

altrove», ma nella quale, fra una reincarnazione e l'altra, «scintilliamo tutti nella notte infinita, per un istante». E magari, in quell'istante, scriviamo romanzi, amiamo, siamo felici e, nonostante tutto, ci sentiamo eterni.

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