Un aneddoto rivelatore. Abitavo in una via anonima fino a qualche tempo fa. Ora la strada ha un nome. Illustre: Luigi Einaudi. Solo che quando hanno collocato la targa c'era scritto: Luigi «Enaudi». Se il nome del primo presidente della Repubblica ma, soprattutto, uno dei maggiori pensatori della libertà economica del secolo scorso fosse conosciuto ai più non ci sarebbe stato quel tanto banale quanto significativo errore di stampa.
Invece, nome e opera di Luigi Einaudi, che fu l'artefice della politica economica e monetaria del governo di Alcide De Gasperi, sono bellamente ignorati da politici ed elettori del Paese europeo che ha il più grande debito pubblico. Proprio per questo motivo ha particolare valore la lettera ai «liberali distratti» e agli «statalisti ottusi» che due cattolici liberali come Dario Antiseri e Flavio Felice hanno ora pubblicato: Libertà e giustizia economica vivono e muoiono insieme (Rubbettino, pagg. 108, euro 14)
Antiseri e Felice discutono prima con Hayek e Popper, Einaudi e Friedman per poi prendere in considerazione le idee «spesso trascurate di liberali cristiani» come Angelo Tosato, Michael Novak, Wilhelm Ropke per giungere alla conclusione che l'economia sociale di mercato permette la produzione di beni e di ricchezza con la libertà economica e, tramite uno Stato più o meno avveduto, una ragionevole distribuzione di risorse che sia insieme un sostegno al reddito e ai più bisognosi che, non potendo lavorare si pensi ai malati, ai disabili, ai vecchi possono confidare sull'aiuto dei connazionali che lavorano. Il punto centrale della discussione, come si sarà facilmente intuito, è quanto sarà avveduto questo benedetto e maledetto Stato che va precisato di suo non esiste nemmeno ed è fatto dai governi e dalle classi politiche che di volta in volta lo guidano. Infatti, come da sempre ha messo in luce Hayek il cui liberalismo, proprio come in Einaudi e Croce, è animato da un vivo senso storico se si parte dall'idea che la «giustizia sociale» sia la «correzione» che si deve fare del mercato, allora, si otterranno due disastri: «ingiustizia sociale» e illibertà economica. Se, invece, si è politicamente consapevoli che la «giustizia sociale» non è la correzione di un bel niente ed è questione di esperienza, equilibrio, avvedutezza, allora, proprio attraverso la ricchezza e la produzione del libero mercato e della società aperta si potranno fare operazioni fuori mercato. Il grande economista liberale scrive testualmente: «Assicurare un reddito minimo a tutti, o un livello sotto cui nessuno scenda quando non può più provvedere a se stesso, non soltanto è una protezione assolutamente legittima contro rischi comuni a tutti, ma è un compito necessario della Grande società in cui l'individuo non può rivalersi sui membri del piccolo gruppo specifico in cui era nato».
Vale la pena mettere in luce che ci può essere reddito minimo se c'è libertà economica che genera ricchezza. Si tratta di un'osservazione più che significativa perché senza libertà economica non ci potrà essere nessuna legislazione sociale e, quindi, come dice Einaudi con parole attualissime, «anche chi ammette il concetto del minimo nei punti di partenza, sa che bisogna cercare di stare lontani dall'estremo pericolosissimo dell'incoraggiamento all'ozio. Questo è il freno che deve stare sempre dinanzi ai nostri occhi». Ma questo «freno» spesso e volentieri non sta dinanzi agli occhi del governante di turno che attraverso le perversioni della «giustizia sociale» crea proprio ozio, pigrizia, privilegi. Ecco perché è fondamentale chiarire che la «giustizia sociale» non corregge la libertà ma la presuppone e solo attraverso la stessa libertà, economica e morale, si potrà avere anche l'aiuto sociale.
Ecco perché è particolarmente significativa la figura di don Angelo Tosato che propone una interpretazione dei testi evangelici che lo porta a concludere che «il Vangelo non condanna come demoniaca la ricchezza terrena» e denuncia, invece, «che essa sia caduta nelle mani del Demonio e dei suoi servitori». In altre parole di ricco buonsenso di Antiseri e Felice: «Il Vangelo non condanna i ricchi in quanto tali, né impone loro di sbarazzarsi della loro ricchezza, piuttosto mette in guardia il cristiano dal diventarne schiavo, eleggendola a proprio Signore, promuovendola a proprio Dio».
Non è questa l'etica stessa del liberalismo, sia esso classico o novecentesco, che ha come mezzo e come fine non il denaro in quanto tale ma lavoro e libertà?Verrebbe quasi da parafrasare il titolo della «lettera» di Antiseri e Felice: libertà e lavoro vivono e muoiono insieme.
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