L'ironia di Elio fa sorridere il Festival del pessimismo

I 28 brani dei big di Sanremo rispecchiano la realtà. E qualche volta sorprendono. Tra le parole più gettonate, "inferno" e "morte". Fazio: "Saviano non ci sarà"

L'ironia di Elio fa sorridere il Festival del pessimismo

Insomma sarà il Festival dei due poli. Da una parte Fabio Fazio e la sua combriccola impegnata a dare, parole sue, un po' di «allegria». Dall'altra le canzoni in gara, che sono ventotto (due per ciascuno dei quattordici big) e sono tutte nel segno della «contemporaneità» (ipse dixit) e quindi mica tanto allegre. Anzi. Però saranno una sorpresa e non sarà facile per chi vota (in sala stampa e a casa) trovare un equilibrio tra valore musicale e appeal commerciale di ciascun titolo.

E ieri, durante il primo, attesissimo ascolto nella sede Rai di Milano, la sensazione era proprio questa: tutti i brani in gara dei big di Sanremo potrebbero formare un concept album sullo stato del Paese. Dopotutto l'esperienza insegna che il verdetto festivaliero è sempre un affidabilissimo exit poll elettorale. Quindi: pessimismo e bisogno di rinascere. Intanto i brani non sono sanremesi, vivaddio: fine definitiva delle rime facili e dell'attitudine da ancien regime festivaliero già in conclamata estinzione. Per capirci, se si parla di amori, sono sempre traditi o sofferti e con inattesa frequenza spuntano le parole morte, inferno (gettonatissimo), niente, dubbio e altre variazioni della disillusione. Segno dei tempi. Come le scelte musicali e gli arrangiamenti che, talvolta, sono di rarefatta complessità. In poche parole, si vede - meglio: si sente - il gusto di Mauro Pagani e della sua squadra di selezionatori. «Almeno settanta artisti ci hanno mandato brani» spiega lui. E l'ultima a essere esclusa dalla rosa dei quattordici big è stata Antonella Ruggiero. Di sicuro, i veri cavalli pazzi sono Elio e Le Storie Tese, che sparigliano tutto con due canzoni tra le migliori della loro carriera. In Dannati forever, dopo aver fatto «due passi in un percorso di fede» mandano (ironicamente) all'inferno «anche il governo coi sodomiti, i moderati, i giornalisti e gli esodati». E nella strepitosa Canzone mononota, fulminante intuizione destinata a diventare un classico, cambiano passo, tono, ritmo e addirittura voce, prendendo in giro quasi tutti, da Rossini a Dylan a Jobim mettendoci dentro persino Tintarella di luna. Chapeau. Idem a Raphael Gualazzi e alla sua voce cresciuta che in Sai (ci basta un sogno) distende un testo impegnativo e ottativo che si abbina a una partitura più convincente quando si distende nel finale. E poi in Senza ritegno piazza un capolavoro che ruota simbolicamente intorno al verso «mentre imbianco l'uomo nero» e alla presa di coscienza di fronte alla realtà. Un Gualazzi super. Come Simone Cristicchi, più prevedibile nella malinconia d'amore di Mi manchi ma decisamente all'altezza in La prima volta (che sono morto), surreale Dante alle prese con un imprevedibile aldilà nel quale passeggia con Charlie Chaplin, gioca a briscola con Pertini, guarda l'ultimo film di Pasolini e disillude il nonno partigiano. E, se proprio si gioca di classe, Simona Molinari (con Peter Cincotti) vince con La felicità (musiche del bravo Carlo Avarello) e soprattutto con Dr Jekil Mr Hide, brano inedito di Lelio Luttazzi, swing superbo nel quale lei gioca in casa. Così come Annalisa, finalmente sensuale in Non so ballare e molto efficace in Scintille (bello il verso «Volano i satelliti sulle formiche»).

E anche Chiara, fresca vincitrice di X Factor che in L'esperienza dell'amore colora la sua voce da grande interprete e ne Il futuro che sarà (firmato da Francesco Bianconi dei Baustelle) si esalta nel verso «credo negli angeli ma frequento l'inferno». Dopotutto, questo è il Festival delle grandi firme visto che ci sono anche brani firmati da Gianna Nannini (Bellissimo per un Marco Mengoni in crescita esponenziale, fin troppo), Federico Zampaglione per Almamegretta (in Onda che vai, loro portano anche il reggae di Mamma non lo sa con il vocione di Raiz), Giuliano Sangiorgi per Malika Ayane (brava in Niente ma molto più coinvolgente in E se poi che ha un esprit quasi beat) e Enzo Gragnaniello e la coppia Avion Travel di Peppe Servillo e Fausto Mesolella (che hanno scritto in parte in napoletano) per l'incognita Maria Nazionale, che piacerà a Roberto Saviano ma sembra un po' frenata da un manierismo interpretativo vecchio stile. A proposito: ieri un raffreddatissimo Fabio Fazio ha detto che no, Saviano non sarà al Festival perché «non si fa mai il già fatto». Ci torneranno invece i Modà con due brani stilisticamente omogenei destinati a sbocciare con il tempo (Come l'acqua dentro il mare e Se si potesse non morire). E se Max Gazzé è incalzante in Sotto casa, ne I tuoi maledettissimi impegni canta un verso disperato e bellissimo: «Sei tu che mando giù nel petto quando mi getto vino in gola». Piacerà, vedrete. Idem Daniele Silvestri, scanzonato nel Bisogno di te ma protestante disilluso in A bocca chiusa.

E, se anche i bravi Marta sui Tubi mescoleranno in prima serata tv Oscar Wilde e Mallarmé con Motorpsycho e Sonic Youth (in Dispari) vuol dire che l'orologio del Festival ha completato l'aggiornamento e ora batte il tempo di quello al polso degli italiani. Comunque vada, è già un successo.

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