Erika Fatland ha girato intorno alla Russia per La frontiera, negli ex Paesi sovietici dell'Asia centrale per Sovietistan, in Himalaya per La vita in alto. Antropologa di formazione, nata nel 1983, vive a Oslo. Oltre al norvegese parla inglese, francese, tedesco, russo, portoghese (per il quale ha dovuto «dimenticare» italiano e spagnolo) e, da anni, è «al lavoro» sull'arabo. Per i suoi libri, tutti editi in Italia da Marsilio, ha ricevuto il Premio Kapuscinski per il reportage. È in Italia, al Festivaletteratura di Mantova, dove ha intrattenuto il pubblico «Circumnavigando il vecchio impero». Russo, ovviamente.
Erika Fatland, quanto durano, in media, i suoi viaggi?
«Per La vita in alto ho trascorso otto mesi in Himalaya; altrettanti per La frontiera, e un mese per Paese per Sovietistan, quindi cinque mesi. Ora che mi sto occupando dell'impero portoghese, oggetto del mio prossimo libro, impiegherò sicuramente di più, perché è un tema enorme. Praticamente tutto il mondo».
Fino a ora si è interessata soprattutto di Russia. Come mai?
«Il tema dell'Impero e dell'Urss è molto affascinante, e penso ci tornerò. È un vicino della Norvegia, ma è un mondo molto diverso, di cui conosciamo poco. E poi c'è la dimensione dell'Impero, dalla Norvegia al Pacifico, con così tante storie, etnie e culture diverse al suo interno».
Enorme.
«Enorme, e altrettanto brutale. È una parte del mondo dove la vita umana non significa molto, come vediamo oggi, durante la guerra».
Il confine russo, scrive, si estende per 60932 chilometri, in cui incontra quattordici Stati: non è quasi naturale che sorga qualche problema?
«Qualche anno fa in Danimarca mi fecero un'intervista e mi chiesero: che cosa succederà al confine russo? E io dissi: è cambiato molto nei secoli e penso che, fra cento anni, sarà diverso, più piccolo. In Russia furono pubblicati una serie di titoli del tipo: Antropologa norvegese prevede il crollo della Russia fra cento anni. Ho ricevuto decine di messaggi».
Perché secondo lei?
«Ho toccato un nervo scoperto. Il loro problema è il separatismo, la perdita di controllo sul Paese; ed è un timore realistico, perché il territorio è così grande... È difficile pensare che possano mantenere queste dimensioni in futuro, anche se, al momento, quello che vediamo è che stanno cercando di ridiventare più grandi».
Di ricostruire l'Impero?
«Esatto. Nel '91 si è frantumata l'Urss, ma l'Urss era una piccola parte della storia della Russia. Quella di oggi è la guerra che non è mai stata combattuta nel 1991: una guerra coloniale e imperiale».
L'Impero può tornare davvero?
«Coi confini del '91 è improbabile. Putin sta fallendo tragicamente in Ucraina. Certo ci sono dei rischi, perché il confine è lungo, e la Bielorussia fa quello che il Cremlino le chiede di fare».
Com'è essere vicini della Russia?
«Nel Nord della Norvegia si sente chiaramente la pressione russa. Molti russi vivono nelle città vicino al confine; che è solitamente pacifico, visto che la Norvegia è l'unico, dei suoi quattordici vicini, con cui la Russia non sia mai stata in guerra. Ma in futuro sarà significativo, perché la guerra per le risorse si giocherà nell'Artico e lì, invece, condividiamo un confine molto lungo...»
Qual è la situazione nell'Artico?
«Il ghiaccio si sta sciogliendo, quindi il gas e molte altre risorse sono a disposizione: gran parte del territorio è già conteso. È l'area da tenere sotto controllo, il luogo caldo del futuro. Vedo un grande potenziale per un conflitto territoriale, e la Russia è andata avanti per anni a rinforzare le stazioni militari, costruendosi un potere laggiù, insieme ai cinesi. Non dobbiamo dimenticarcelo, e dobbiamo capire che serve una presenza militare».
E per gli altri vicini la situazione com'è?
«Difficile. Credo che nel Baltico siano felici di essere entrati nell'Unione europea e nella Nato: quando hai un vicino così grande e bullo, hai bisogno di amici molto forti... Chi è solo è più vulnerabile: si veda l'Ucraina, o la Georgia che, dopo la guerra del 2008, si trova con la Russia che controlla il 20 per cento del suo territorio».
Perché l'Asia centrale è così problematica?
«Questi Paesi occupano una posizione centrale, appunto. Chi ha un grande potere in Asia cerca sempre di invaderli: lì c'era Gengis Khan, lì si è svolto il Grande gioco fra Russia e Gran Bretagna. Dalla fine dell'Urss è un'area relativamente stabile e pacifica, assolutamente non democratica, potenzialmente a rischio per conflitti etnici e di risorse».
Nulla è cambiato?
«Nella ex sfera sovietica la popolazione è sempre più giovane: è in atto un cambio generazionale, per cui i russi stanno diventando una minoranza, così come le persone che hanno vissuto durante l'Unione sovietica. Forse inizierà un nuovo corso».
C'è nostalgia dell'era sovietica?
«Ovunque, nell'area ex sovietica, perfino nei luoghi più sorprendenti, la gente ha nostalgia dell'Urss. Sono stata in un villaggio di pescatori in Uzbekistan, che i sovietici hanno privato dell'acqua, distruggendolo: perfino lì, a tutti manca l'Urss. Nei Paesi che più hanno combattuto per l'indipendenza questo sentimento è meno forte, ma vi abitano molti russi, tutti nostalgici. Anche se ora stanno invecchiando».
Perché questa nostalgia?
«Ho due teorie. Per molti, la vita era comunque meglio, perché era più o meno stabile. E poi si tratta di persone anziane, che allora erano giovani: e, in tutto il mondo, tutti hanno nostalgia della loro giovinezza».
Viaggia sempre da sola?
«Sì. Sempre».
I luoghi più particolari dove è stata?
«Alcuni villaggi remoti dell'Himalaya, e la Mongolia, dove ci sono ancora popolazioni nomadi. E poi l'Artico, magico. Anche oggi il passaggio a Nord-Est è difficile da attraversare in nave. Il paesaggio e la natura sono un'esperienza meravigliosa; poi arrivi alle stazioni meteorologiche russe e ti trovi in mezzo a rifiuti, barili, benzina e spazzatura sovietica... È anche un viaggio nostalgico, perché è un luogo che, fra qualche anno, non esisterà più».
Dopo averne percorso il confine infinito, pensa che la Russia sia più Europa o più Asia?
«Per l'Ucraina la risposta sarebbe facile: è Europa. Ma la maggior parte della Russia è in Asia e, storicamente, è stata influenzata dall'invasione mongola.
Già dal 2014, la Russia si è rivolta sempre più verso l'Asia per quanto riguarda i commerci e le alleanze. Comunque è un tema che si discute da secoli, anche in Russia, e la tipica risposta è: siamo russi. Qualcosa di unico».
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