Nel 1953-1954, lo scrittore Luigi Meneghello, con lo pseudonimo di Ugo Varnai, pubblicava tre articoli in successione sulla rivista bimestrale Comunità di Adriano Olivetti. Era una sterminata recensione di The Final Solution di Gerald Reitlinger. Nel 1994, la casa editrice il Mulino riuniva tutto il materiale in un volume intitolato Promemoria. Lo sterminio degli ebrei d'Europa (1939-1945). Lo stesso che ora esce, in occasione del Giorno della Memoria, a cura di Luciano Zampese (pagg. 178, euro 12) nella collana Bur di Rizzoli.
La lunghezza della recensione era più che giustificata. Il libro di Reitlinger fu uno dei primi a fornire documenti e numeri attendibili sulla Soluzione finale. Scrive Meneghello che in Italia, sul tema, negli anni Cinquanta, ancora si restava sul vago. Le dimensioni della Shoah erano note a pochi. Per questo, era importante un'opera di divulgazione che poteva partire dal saggio di Reitlinger.
Il rigore morale del futuro autore dei Piccoli maestri (1964) è ammirevole. Piuttosto che scrivere grossolanità o rischiare l'imprecisione o venire incontro alle debolezze del pubblico, Meneghello riteneva preferibile il silenzio. Per questo lo stile di Promemoria è gelido e impersonale, caratteristica che finisce col renderlo, pagina dopo pagina, sconvolgente. Di fronte allo sterminio degli ebrei, e alle sue atroci modalità, risulta facile la tentazione di affrontare tutto come se fosse la manifestazione dell'abisso celato nel cuore degli uomini. La martellante oggettività di Meneghello non permette fughe pseudo-romantiche: il piano per cancellare gli ebrei dall'Europa era l'obiettivo storico del Terzo Reich e fu concepito razionalmente da uomini sicuri di realizzare un'opera indispensabile. Razionale (per quanto folle ci possa apparire) fu la determinazione iniziale, razionali (anche se caotici) furono i piani di eliminazione, razionale fu il togliere ogni personalità giuridica ai perseguitati, razionale fu spingerli all'emigrazione, razionale fu l'istituzione di una burocrazia dedicata al massacro, razionale fu lo sfruttamento economico delle vittime prima della eliminazione, razionale fu il sistema dei campi che ebbe il suo modello definitivo nell'arcipelago di lager noto come Auschwitz. La Shoah fu un genocidio compiuto in piena consapevolezza: non a caso, le stragi, nella comunicazione ufficiale, erano nascoste da eufemismi come «trasferimento» e «trattamento speciale». Gli stessi uffici amministrativi guidati da Eichmann erano difficili da identificare, celati dietro ad anodine sigle. I nazisti sapevano che, in caso di sconfitta, sarebbero stati giudicati come criminali di fronte all'umanità intera.
Il metodo di sterminio fu raffinato con il passare degli anni. Sul fronte orientale, durante l'Operazione Barbarossa, si andava per le spicce e sono agghiaccianti i resoconti dei testimoni (tedeschi) alle fucilazioni di massa nelle fosse comuni. Poi si passò ai camion, dentro ai quali venivano soffocati i prigionieri col gas. Poi, nel cuore dell'Europa, fu sperimentato la reclusione nei ghetti separati dal resto della città (resta celebre quello di Varsavia, capace di una eroica ma inutile insurrezione contro gli aguzzini). Infine il sistema dei campi di sterminio, che si rese indispensabile, agli occhi dei nazisti, quando le conquiste del Reich fecero schizzare verso l'alto la percentuale di uomini (non cittadini) di origine ebraica. Meneghello cancella anche ogni dubbio sul tema, spesso dibattuto, della consapevolezza delle altre istituzioni a partire dalla Wehrmacht. I vertici sapevano eccome. In alcuni casi si limitarono ad assicurarsi che il lavoro sporco fosse affidato unicamente alle SS, senza coinvolgimento diretto dell'esercito. I documenti, che risalgono soprattutto alla campagna di Russia, sono incontrovertibili.
Il testo di Meneghello resta ancora valido e la nuova edizione è fornita di tutti gli apparati necessari per aggiornare la parte storica, più nei numeri che nella sostanza. Comunque già le cifre di Meneghello, per quanto a volte intuitive, erano una approssimazione (per difetto) non troppo lontana dal vero. Ancora scioccante è la parte iconografica del libro, in gran parte inedita al momento della pubblicazione su Comunità (e alla raccolta della quale collaborò proprio il recensito, Gerald Reitlinger, che aveva capito il fine di Promemoria, dopo una iniziale diffidenza).
Nel corso di una intervista, nel 1994, fu chiesto a Meneghello come mai, lui, grande narratore, avesse scelto di lasciar perdere la fiction, nel caso dello sterminio degli ebrei. La risposta è da incidere nel marmo: «Non credevo di avere la forza necessaria per trattarlo in modo degno. Non c'è niente di peggio che affrontare in maniera inadeguata argomenti che consideriamo sacri. Sono davvero pochi i romanzi che riescono a raccontare con sensibilità la storia atroce del massacro. In letteratura c'è il rischio di sminuire la storia, schiacciando l'intento civile sotto l'urgenza del lavoro letterario». E questo valga come monito agli editori che, nel Giorno della Memoria, invadono gli scaffali delle librerie con storie di fiction banali, inutili e stereotipate sull'Olocausto. Questa romanzeria vorrebbe essere un omaggio alla memoria delle vittime ma è soltanto un involontario (almeno si spera) e cinico omaggio alla società dei consumi, che vuole consumare anche, e soprattutto, gli «argomenti che consideriamo sacri». Per raccontare certe storie ci vuole «la forza necessaria», che pare latitare in questa produzione sempre più ricca di titoli, con copertine indecenti, da strenna natalizia strappa-lacrime.
Meneghello continuava dicendo che forse in futuro una nuova generazione di scrittori avrebbe trovato il modo di scrivere romanzi d'invenzione sulla Shoah, avventurandosi in un «territorio così insidioso». Ecco, con le dovute eccezioni, quel momento non è ancora giunto. Meglio dunque rileggersi Meneghello.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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