"Da maresciallo a cronista nella fiction cerco la verità"

Il mattatore Gigi Proietti torna su Raiuno con "Una pallottola nel cuore". "Fare un altro varietà in tv? Preferisco una serata tutta per me"

"Da maresciallo a cronista nella fiction cerco la verità"

L'aria sorniona da graffio in pantofole. I toni felpati da ironico vellutato. Si dice che questo sia il segno della grandezza massima: non recitare più. Semplicemente «essere». E quando Gigi Proietti «recita» Bruno Palmieri, non capisci più dove finisca l'attore e dove cominci il personaggio.

Facile descrivere - insomma - il protagonista di Una pallottola nel cuore , serie di quattro film-tv (il primo, La maga di piazza Navona , lunedì su Raiuno): altro non è che l'abile transfert, in forma di fiction, dei toni garbati eppure pungenti dello showman più amato, nel suo primo, attesissimo ritorno ad una serie tv, dai tempi del Maresciallo Rocca .

Perché ha aspettato tento prima di decidersi, Proietti?

«Oddio: adesso non vorrei dare l'idea di quello che si nega o - peggio - che se la tira: non è Gigi 2 - La vendetta . Io normalmente faccio il mio teatro, che è il mio lavoro fondamentale. Poi c'è stata la grande interruzione del Maresciallo Rocca , che mi fece scoprire da quelli che dicevano che io in tv non “bucavo”. Ma dopo non è che non abbia più fatto fiction: in Rai ci sono stati anche Preferisco il Paradiso e L'ultimo Papa Re ».

Sempre appuntamenti da una serata, al massimo due.

«La verità? A me le cose lunghe mi terrorizzano. Se le sbagli so' dolori. Quattro, otto, dodici puntate che non te so' venute bene: roba da cambia' canale pure te. Difficilissimo trovare una fiction che funzioni senza sbragare. Di questa m'è piaciuta l'idea. Gli sceneggiatori non l'hanno tradita e allora l'ho interpretata».

Che tipo è questo Bruno Palmieri?

«Un giornalista, vecchio segugio della nera che per quarant'anni ha battuto i vicoli di Roma in caccia di assassini e criminali. Ormai sfiatato, quasi alla pensione, suo malgrado dovrà riaprire alcuni cold case: vecchi casi irrisolti, di cui non importa più niente a nessuno. Se non a lui. Ma non più - si badi bene - per incallito vanto di giornalista dopo tanti anni di carriera. Quanto per un più alto, e fin lì insoddisfatto, senso di giustizia».

E cosa le è piaciuto tanto, di questo suo cronista di nera?

«Il fatto che non è un poliziotto - non deve risolvere subito, perché ha l'opinione pubblica sul collo - e non è un giornalista quindi non deve mandare il pezzo in pagina a tutti i costi. Dovrebbe andare in pensione. Solo che non gli va di tirar fuori la canna da pesca (chissà perché quando uno va in pensione dovrebbe andare a pesca: io non lo farei mai). E invece gli nasce questa “voglia di verità”. Tanto più attraente, in un momento in cui se qualcuno cerca ancora la verità, o è matto o è davvero perbene».

Primo e più illustre interprete di un teatro senza copione, senza personaggi, senza recitazione, quando torna alla fiction deve anche tornare alla recitazione tradizionale. Cos'è per lei la fiction? Una vacanza?

«Più che altro è un ritorno alle origini. Io nasco attore - attore. Ma dopo aver frequentato per quarant'anni la più sbrigliata anarchia scenica, ogni tanto, mi scatta dentro la necessità enorme di disciplinarmi, come agli inizi».

Fra gli interpreti di Una pallottola sul cuore, per la regia di Luca Manfredi, oltre a Francesca Inaudi e Marco Marzocca, in un piccolo ruolo c'è anche sua figlia Carlotta.

«Ogni tanto, senza farmi vedere da Manfredi, le davo qualche consiglio. Non molti, perché credo sia già sulla buona strada».

E ora che è tornato alla fiction, quand'è che tornerà anche al varietà?

«Mi piacerebbe molto, ma ritengo sia pericolosissimo. Credo, ad esempio, d'aver fatto il Fantastico più brutto della storia dei Fantastici. Un po' che nel varietà s'è già fatto tutto; un po' che i tempi televisivi non sono più quelli. Dovrebbe essere una serata - evento, ecco, di tipo celebrativo. Allora sì che funzionerebbe».

Lei è un noto, e sfegatato, romanista. Come ha vissuto l'1 a 7 col Bayern?

«Cogli amici andiamo sempre a vedere le

partite della Roma a casa di un amico. Sempre gli stessi, seduti sempre sulle stesse poltrone. Al terzo gol del Bayern abbiamo cambiato poltrone. Al quinto avremmo voluto cambiare canale. Al settimo stavamo per cambiare amici».

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