Mario Brega, la faccia tosta diventata macchiettista

Ora un libro lo ricorda

Mario Brega, la faccia tosta diventata macchiettista

Mario Brega (nella foto), principe dei caratteristi, è assurto al ruolo di protagonista in un libro dedicato a lui, ricco di aneddoti e testimonianze raccolte dal poliziotto-scrittore Ezio Cardarelli.

Ce sto io... poi ce sta De Niro (Ed. Ad Est dell'Equatore) è la biografia di un uomo che nella vita di tutti i giorni era tale e quale a come appariva nei film di Carlo Verdone. Una storia, la sua, che parte dall'Italia povera degli anni Trenta. La fame lo spinse già da bambino a compiere qualche malefatta. Come quella volta che in chiesa, accortosi che i fedeli lanciavano monete tra le statue del presepe, per convincere il fratellino a prelevarle gli disse «te sta a chiama' Gesù, vole che lo aiuti a raccoje i sordi...». Oppure quando addestrò un cane a sottrarre del cibo in un negozio, e di fronte alle rimostranze del proprietario, rigirò la frittata sentenziando «è stato 'r cane, fatte da' i sordi da lui».

Ciò nonostante, la sua indole era davvero buona. Anche in tempo di guerra, dimostrò coraggio salvando i commilitoni colpiti dalle bombe degli americani. Vero è che diceva di averne «sarvati seicento», nonostante la nave bombardata ne contenesse la metà, ma queste erano le tipiche esagerazioni del «re dei buciardi». Come quando, finita la guerra, mostrava alla gente medaglie fasulle, lasciando intendere che ognuna di esse fosse la ricompensa per un'azione ardita. In realtà, erano decorazioni del padre Primo, campione medagliato di atletica. La faccia tosta gli permise di entrare nel cinema.

Provvidenziale fu l'incontro con Sergio Leone, che lo scritturò nella Trilogia del dollaro e in C'era una volta in America. Poche pose, in quest'ultima pellicola, da cui però scaturì un affratellamento con Robert De Niro. Amicizia vera, all'insegna delle lusinghe del divo, il quale più e più volte gli suggerì di trasferirsi in America, perché in America uno come Brega era destinato a sfondare. Generoso ma dal carattere impegnativo, se c'era da menare menava, come quella volta che pestò Gian Maria Volonté, reo di non volere saldare un debito di gioco.

L'epilogo della sua vita avvenne nel 1994, con appena una ventina di persone ai funerali.

Sembrava destinato all'oblio, questo omaccione corpulento e assertivo, invece le ultime generazioni lo hanno mitizzato. Quella mano, che poteva «esse fero o esse piuma», non ha lasciato la sua impronta a Hollywood, ma è entrata comunque nella leggenda.

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