Mario Soldati aveva il dono miracoloso di fondere la letteratura con la vita, e di fare in modo che chiunque, una volta entrato in contatto con lui, si sentisse calato nel clima di un suo racconto. Mi telefonò una mattina, eravamo a metà degli anni Ottanta, e non vi dico la mia sorpresa nel sentire quella sua voce inconfondibile, rauca per le migliaia di toscani fumati, e insieme urlante e perentoria. Voleva che aiutassi una giovane art-therapist californiana, amica, o forse qualcosa di più, di un suo amico, a scrivere un libro sulla Liguria.
Cominciò così il mio pellegrinaggio a Tellaro, in compagnia della stravagante aspirante scrittrice che intanto si era insediata a Capo Berta, a casa mia, mettendovi scompiglio. Soldati, che amava provocare la californiana ma temeva di vederla da sola per via della gelosia della moglie Jucci, mi accolse con uno scoppio di gioia e con uno spirito fraterno che mi sedussero una volta per tutte. Del libro sulla Liguria non si fece nulla. In compenso noi continuammo a sentirci e vederci. E devo confessare che passai con lui alcuni dei momenti più divertenti e stimolanti della mia esistenza.
Come scrittore, Mario Soldati era sottovalutato, non certo dal pubblico, ma dalla società letteraria: lui per primo si sottovalutava, per una sorta di complesso di inferiorità verso l'intelligenza categorica e ideologica di Moravia, di cui peraltro scriveva meglio. Oggi, grazie alla ristampa dei suoi libri iniziata da Bompiani con due titoli capitali, Vino al vino e L'attore, sarà più facile vedere che in realtà Soldati è un autore centrale nel Novecento: secolo che, nato nel 1906 e morto nel 1999, ha attraversato nella sua completezza. La pratica della letteratura in lui si accompagnò con quella del cinema, della televisione, del giornalismo, con risultati eccellenti in ogni campo. Nel cinema, per cui fu sceneggiatore e regista, trasfuse la sua sensibilità di esperto di arti visive e la sua cultura letteraria, ispirandosi per i suoi film ad autori diversi come Balzac, Fogazzaro (Piccolo mondo antico, forse il suo film più celebre), Bersezio, sino a Ercole Patti e allo stesso Moravia. In televisione fu un pioniere. Con il suo Alla ricerca dei cibi genuini. Viaggio lungo la valle del Po, inaugurò il reportage enogastronomico, parlando di cucina con una inventività e una freschezza che i personaggi, cuochi e affini, che oggi imperversano e debordano sui teleschermi non riescono neppure lontanamente a immaginare. Nel giornalismo, Soldati giunse a cimentarsi letterariamente con la passione dominante degli italiani, il calcio, con la maestria con cui lo avevano fatto Brera e Arpino. Inviato a settantasei anni in Spagna per i mondiali del 1982, che videro la squadra italiana vincitrice, ne ricavò il volume Ah! Il Mundial!, pieno di entusiasmo giovanile e di annotazioni sul rapporto tra calcio e società.
Nel campo della letteratura, dai primissimi racconti di Salmace sino alla fine, Soldati si tenne lontano dalle mode intellettuali, che allora imponevano via via neorealismo, sperimentalismo e impegno politico, prediligendo la narrazione a tutto tondo, nutrita da una sensibilità quasi morbosamente attenta ai privati, oscuri movimenti dell'anima umana, alla casistica gesuitica del peccato e della spesso impossibile redenzione. Fu anche tra i primi a capire che il romanzo doveva tornare a cimentarsi con i generi, da quello epistolare (Lettere da Capri) al giallo (La verità sul caso Motta, I racconti del maresciallo, L'attore) alla fantascienza (Lo smeraldo), mostrando sostanziali affinità, più che con autori italiani, con Graham Greene, il grande romanziere cattolico inglese di cui Soldati fu amico, e a cui offrì perfino il modello per un indimenticabile personaggio di In viaggio con la zia. Autore anche di novelle, di pagine di diario, di racconti di viaggio, tra cui spiccano America primo amore, Vino al vino, un itinerario tra i vini italiani che diventa un ritratto acutissimo dell'intero Paese, e, tra le cose tarde, un omaggio alla Liguria (Regione regina), Soldati mise in tutta la sua opera il vibrare gioioso della vita.
Di persona, Mario aveva le qualità dello scrittore come io lo immaginavo da ragazzo: elegante, bizzarro, fascinoso, dotato di humour, poliglotta, ricco di storie d'amore, incline ai viaggi e ai piaceri. Non proprio uno che desidera «essere come tutti», secondo la povera moda odierna. Eppure democratico, senza pregiudizi, fraterno. I due piani della sua villa di Tellaro ne descrivevano perfettamente il carattere: il piano terra era il lato basso, con in mostra la grande affettatrice, con le diatribe su come si taglia il formaggio grana (fui spedito in cucina a cercare il coltellino giusto, mentre Jucci sosteneva che bisognava procedere con le mani), il secondo piano il lato alto, con la sua biblioteca perfetta, ordinatissima e ricchissima, un intero scaffale solo per gli atlanti e le guide geografiche. Mario e0ra la sintesi di questi due piani: letterato finissimo, seppe sempre dialogare con la comunicazione di massa, anche se si rendeva conto che per una certa critica era qualcosa di imperdonabile. Nella gioia straripante che infondeva agli interlocutori, si insinuava ogni tanto una vena di tristezza, nella sua leggerezza l'ombra del tempo che passa e del mistero delle cose.
In uno di questi momenti di raccoglimento e di malinconia, mi diede un consiglio: «guarda sempre verso l'alto, non fare come me, fai come Borges».Mi commuovo ancora ora a pensarci. Non sai cosa darei, caro Mario, per scrivere certe pagine come te.
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