«Mi serviva la parte di un attore fallito per tornare una star»

Il protagonista di «Birdman», candidato all'Oscar ci racconta la sua rinascita cinematografica

«Mi serviva la parte di un attore fallito per tornare una star»

da Los Angeles

Michael Keaton, il favorito all'Oscar (22 febbraio la cerimonia di premiazione) come migliore attore del 2014 con Birdman di Alejandro G. Iñárritu, ha commosso domenica scorsa, vincendo il premio Golden Globe, parlando della sua «infanzia schifa», per dirla alla giovane Holden, cresciuto in povertà in Ohio, madre e padre operai sempre a tribolare per sbarcare il lunario e tirar su sette figli. Poi invece di ringraziare agenti, manager e avvocati, Keaton si è profuso in una dichiarazione di amore per il figlio Sean, musicista. «Il mio migliore amico, la persona più bella che abbia mai conosciuto». Dev'essere un padre tenerissimo, Keaton. Che a 63 riceve così la sua prima candidatura all'Oscar, protagonista di sorprendente ritorno, quelle storie dei «secondi atti» che piacciono tanto a Hollywood. È anche ironico che in Birdman Keaton, superstar a cavallo anni '80/'90 coi due Batman di Tim Burton (con cui aveva lavorato nel 1988 in Beeteljuice ), interpreti una variazione di se stesso; ovvero l'attore non più famoso e in crisi esistenziale - Riggan Thompson si chiama - che cerca disperatamente di tornare al successo con una piece teatrale a Broadway. «L'unica parola che riesco a proferire per questa candidatura all'Oscar è grazie», ha detto a caldo Keaton. «E il fatto che Birdman abbia ricevuto nove candidature mi incoraggia molto. Non credo che mi capiterà nuovamente un esperimento così fuori dalla norma e audace, e cimentarmi con un autore geniale come Iñárritu. Esser candidato è bello, ma esserlo per un'opera così è triplamente bello». Keaton, cresciuto come attore comico è relativamente scomparso dopo aver declinato l'offerta per un terzo Batman . Da allora ha recitato poco e solo in ruoli minori. Ma in America è molto amato, anche per l'umanità che sa conferire ai suoi personaggi. Avevamo parlato con lui qualche giorno prima della sua incoronazione ai Globes.

Michael, qual è stata la scena più difficile in Birdman ?

«Ce ne sono state varie, molti salti nel vuoto senza rete sotto, metaforicamente parlando. Come quando Riggan entra in scena sanguinando, una scena chiave, tra l'altro recitata davanti a circa mille comparse pagate per riempire il teatro: era un pubblico vero! O la scena in cui corro in mutande per Times Square. Devo dire che per il livello di recitazione che Iñarritu mi richiedeva, un mix letale di commedia e tragedia, ero un po' arruginito. Ma sa cosa? La memoria interpretativa mi è tornata presto».

Ci racconti della scena di Times Square.

«Riggan si ritrova chiuso fuori dal teatro e anche io mi sono sentito preso in contropiede, perché fino a quella sera aveva in parte rimosso quella scena. Vede, noi attori diciamo di sì a tutto. Poi arriva il momento e non puoi più tirarti indietro, anche se vorresti e maledici tutti. Abbiamo dovuto girare di corsa, quattro ciak al massimo, perché la gente a Times Square non erano comparse, era gente vera - Times Square non la puoi svuotare. E dovevamo sbrigarci prima che la folla si accorgesse di quello che stavamo facendo. Sarebbero tutti corsi dietro di me e davanti alla cinepresa a salutare e dire «Ciao mamma!» Abbiamo allora avuto l'idea di far suonare a qualcuno le percussioni per distrarre la folla, sì un depistaggio. Solo allora ho cominciato a correre nudo, solo con le mutrande. Una cosa da teatro sperimentale, alla Living Theatre!»

Che ci dice del finale metafisico, o allegorico, del film?

«Non c'era nel copione. Iñarritu lo ha scritto mentre giravamo. Gli sembrava la fine più naturale e organica in relazione a quello che era accaduto al personaggio e a noi stessi durante le riprese. Nessuno di noi sarà più lo stesso dopo questo lavoro».

Tornerà in pianta stabile al cinema?

«Mi stanno arrivando di nuovo delle offerte, è ovvio, succede sempre così. Le candidature ai Golden Globes e agli Oscar fanno sempre drizzare le antenne a studi e produttori. Con Tim Burton si parla sempre di fare qualcosa di nuovo insieme. Molti pensano che io sia Riggan Thompson, o viceversa, cosa che ho sempre negato; io non sono alla disperata ricerca di niente.

Ho avuto fin troppo successo e mi ritengo un uomo tranquillo. Ma mi sono abituato a questo parallelismo, non ci faccio più caso. Se è così che la gente mi vuole vedere, sia. Mi va benissimo qualsiasi cosa dicano. Riggan mi ha portato fortuna, meglio tenerselo buono».

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