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"La mia Odissea spaziale? Kubrick ne sarebbe fiero"

I fratelli Nolan hanno scritto, girato e prodotto la mega-produzione che si presenta come la pellicola dell'anno. Veramente fantascientifica

"La mia Odissea spaziale? Kubrick ne sarebbe fiero"

Los Angeles - Potrebbe essere il seguito di 2001. Odissea nello spazio ? azzardiamo. Parliamo di Interstellar , la nuova ed enorme produzione di Christopher Nolan (l'enormità produttiva è oramai il suo marchio di fabbrica, dopo i vari Batman e Inception). Il regista inglese, impeccabilmente vestito e pettinato, risponde: «Non l'ho inteso così, ma credo che Kubrick ne andrebbe fiero. Lo spero!».

Interstellar , in uscita il 6 novembre in Italia e nel mondo, riprende il discorso del capolavoro di Kubrick del 1968: l'esplorazione di altre galassie, la possibilità di viaggiare a una velocità superiore a quella della luce, i buchi neri, i tunnel spaziali («wormhole»), il continuum spazio-temporale, le teorie della «singolarità», delle onde magnetiche e dell'«event horizon». Non a caso Nolan, co-autore del copione del film insieme a suo fratello Jonathan, si è basato sulle idee del fisico teorico Kip Thorne, a sua volta epigono di Richard Feynman, a sua volta epigono di Albert Einstein e delle impossibili equazioni sulla relatività e la curvatura dello spazio.

«Mio fratello è un appassionato dell'astrofisica, e insieme a Thorne aveva messo a punto una sceneggiatura per Steven Spielberg», ci confessa Nolan, incontrato a Los Angeles sabato mattina scorso - nel corso di un evento stampa per il lancio del film cui hanno partecipato anche i protagonisti della pellicola: Matthew McConaughey, Anne Hathaway e Jessica Chastain.

«Io adoro la fantascienza e l'avventura spaziale - continua Nolan - e quando ho intuito l'opportunità mi sono intromesso tra mio fratello Jonathan e Spielberg, e gli ho intimato: “Fratello, questo lo faccio io!”. Essendo io il maggiore, lui ha subito capitolato».

Il film, costato 160 milioni di dollari, è stato girato tra lo stato dell'Alberta, in Canada, e l'Islanda: oltre che nei teatri di posa della Sony a Los Angeles. Un mix di azione meccanica ed effetti digitali all'avanguardia, con repechage del «sensorround» - le sedie del cinema che tremano sotto il sedere dello spettatore - di tempi passati.

La capitolazione del fratello minore è l'unica concessione all'humor del computo Nolan, che con l'intenso e lungo Interstellar (2 ore e 45 minuti) fa maledettamente sul serio. Matthew McConaughey interpreta l'ex pilota spaziale Cooper, adesso agricoltore in un campo di granturco tipo L'uomo dei sogni in Iowa (ma siamo in un futuro prossimo). Sul pianeta Terra le cose vanno male: cibo e acqua scarseggiano, e tempeste di polvere rendono la vita molto grama. Di nascosto c'è chi teorizza la possibilità di esplorare altre galassie alla ricerca di un altro pianeta abitabile (alla Wall-E ) per la sopravvivenza della specie umana. Cooper accetta il rischio di guidare una missione con «biglietto di sola andata» - e dunque non rivedere più i suoi amatissimi figli - in nome della ricerca e dell'eventuale salvezza.

Anne Hathaway recita l'astronauta collega di Cooper, capelli cortissimi, nel film, quasi sempre in tuta spaziale e dentro una capsula. «Ho preferito non vedere Gravitiy e Sandra Bullock prima di girare questo film proprio per non rimanerne influenzata», ci ha detto la Hathaway, che curiosamente rifiuta di stringerci la mano, in un afflato germofobico a stento malcelato («È la stagione che precede l'influenza, I'm so sorry», dice scusandosi, ma forse pensa all'Ebola). «Ho visto Gravity solo dopo la fine la fine delle riprese e sono rimasta impressionata dalla bravura della Bullock. Ne abbiamo parlato con lei, dopo, a cose bell'e fatte. Di sicuro c'è una parentela tra le due astronaute».

Le chiediamo sa sarebbe disposta ad andare nello spazio. «Solo se a viaggiare con me ci fosse mio marito», risponde sorridendo. «Ci adoriamo e non potrei trascorrere del tempo senza di lui. Sperimenteremmo l'amore in assenza di gravità e garantirei la procreazione e dunque la prosecuzione della specie, un'idea presa in considerazione nel film solo alla fine. Ma non dico altro per non rovinare la sorpresa...».

McConaughey, fresco di Oscar con Dallas Buyer Club e di successo televisivo con la miniserie hard-boiled True Detective , riprende anche lui il discorso dopo 15 anni, ovvero dopo Contact . «In quel film rappresentavo la coscienza religiosa in rapporto allo spirito scientifico. Un film che mi ha aperto la mente. Carl Sagan e le sue teorie: avrei potuto ascoltarlo per ore. Qui vado davvero nello spazio: sono la coscienza umana dentro la scienza e lo spirito esplorativo e di ricerca».

A chi si è ispirato di più?, gli chiediamo. «Ai grandi pionieri aeronautici del passato, come Chuck Yaeger, il pilota sperimentale protagonista di La stoffa giusta , il grande cowboy della barriera del suono - altro che della luce - e della stratosfera, che si rifiutò di far parte del programma “Mercury”. Yaeger non sopportava i comandi automatici: doveva pilotare lui con le sue mani, era troppo tattile e individualista».

Andrebbe nello spazio, lontano? «Mica tanto», risponde McConaughey. «Mi piacciono gli ostacoli e le sfide qui in Terra perché sono tangibili. Sono un tipo pratico. Credo di aver capito come navigare quaggiù. E ancora mi riempie di meraviglia questa vita. Il tragitto terreno ancora mi fa sballare ogni volta che lo compio.

Non sento il bisogno dello spazio per andare su di giri. E no, non potrei mai lasciare i miei figli con un biglietto di sola andata. Non lo farei mai. Nemmeno se a repentaglio ci fosse tutta la nostra specie. Non ho niente dell'eroe».

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